Language of document : ECLI:EU:C:2001:446

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

CHRISTINE STIX-HACKL

presentate il 13 settembre 2001 (1)

Causa C-459/99

A.S.B.L. Mouvement contre le racisme, l'antisémitisme et la xénophobie

contro

Stato belga

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d'État (Consiglio di Stato) del Belgio]

«Cittadini di paesi terzi coniugati con cittadini dell'Unione - Diritto al rispetto della vita familiare - Ingresso - Soggiorno - Obbligo del visto - Respingimento alla frontiera - Allontanamento - Tutela giuridica»

Indice

     I - Introduzione

I - 1

     II - Ambito normativo

I - 1

         A - Diritto comunitario

I - 1

         B - Diritto nazionale

I - 6

     III - Fatti e procedimento principale

I - 7

     IV - Osservazioni preliminari sul ricongiungimento dei nuclei familiari

I - 8

     V - Sulla prima questione pregiudiziale (respingimento alla frontiera)

I - 10

         A - Argomenti delle parti

I - 10

         B - Valutazione

I - 11

             1. Condizioni di ingresso - Potere degli Stati membri di esigere un visto

I - 12

             2. Potere degli Stati membri di adottare provvedimenti di respingimento alla frontiera

I - 13

                 a) Principio di non discriminazione

I - 14

                 b) Diritto al rispetto della vita familiare e principio di proporzionalità

I - 15

     VI - Sulla seconda questione pregiudiziale (ingresso irregolare)

I - 18

         A - Argomenti delle parti

I - 18

         B - Valutazione

I - 19

             1. Diniego del permesso di soggiorno

I - 19

             2. Allontanamento dal territorio

I - 20

                 a) Principio di non discriminazione

I - 21

                 b) Diritto al rispetto della vita familiare e principio di proporzionalità

I - 21

     VII - Sulla terza questione pregiudiziale (ingresso regolare, scadenza del visto)

I - 22

         A - Argomenti delle parti

I - 22

         B - Valutazione

I - 23

             1. Diniego del permesso di soggiorno

I - 23

             2. Allontanamento dal territorio

I - 24

     VIII - Sulla quarta questione pregiudiziale (tutela giuridica)

I - 25

         A - Argomenti delle parti

I - 25

         B - Valutazione

I - 27

     IX - Conclusione

I - 30

I - Introduzione

1.
    Il Conseil d'État del Belgio sottopone alla Corte una serie di questioni concernenti lo status giuridico di cittadini di paesi terzi coniugati con un cittadino dell'Unione. Vengono in esame in particolare il respingimento alla frontiera, il diniego del permesso di soggiorno, l'allontanamento dal territorio e la tutela giuridica.

II - Ambito normativo

A - Diritto comunitario

2.
    La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (2), si applica, ai sensi dell'art. 1, n. 2, anche nei riguardi del coniuge e dei familiari di taluni cittadini di uno Stato membro che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle direttive adottati in esecuzione del Trattato nel settore dell'esercizio di un'attività salariata o non salariata o della libera prestazione di servizi.

3.
    L'art. 3 dispone quanto segue:

«1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.

2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l'adozione di tali provvedimenti.

3. La scadenza del documento d'identità che ha permesso l'ingresso nel paese ospitante e il rilascio del permesso di soggiorno non può giustificare l'allontanamento dal territorio.

4. Lo Stato che ha rilasciato il documento di identità ammetterà senza formalità sul suo territorio il titolare di tale documento, anche se questo sia scaduto e anche se sia contestata la cittadinanza del titolare».

4.
    L'art. 8 stabilisce che avverso il provvedimento di diniego di ingresso, di diniego di rilascio del permesso di soggiorno o del suo rinnovo, o contro la decisione di allontanamento dal territorio, l'interessato deve avere assicurata la possibilità di esperire i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi.

5.
    L'art. 9, nn. 1 e 2, così recita:

«1. Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi non hanno effetto sospensivo, il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal territorio del titolare del permesso di soggiorno è adottato dall'autorità amministrativa, tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di una autorità competente del paese ospitante, dinanzi alla quale l'interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese.

La suddetta autorità deve essere diversa da quella cui spetta l'adozione dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento dal territorio.

2. Il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso, sono sottoposti, a richiesta dell'interessato, all'esame dell'autorità il cui parere preliminare è previsto al paragrafo 1. L'interessato è allora autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato».

6.
    La direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità (3) (in prosieguo: la «direttiva 68/360»), si applica, ai sensi dell'art. 1, alle persone rientranti nell'ambito di applicazione del regolamento (CEE) n. 1612/68.

7.
    L'art. 3 stabilisce quanto segue:

«1. Gli Stati membri ammettono sul loro territorio le persone di cui all'articolo 1 dietro semplice presentazione di una carta d'identità o di un passaporto validi.

2. Non può essere imposto alcun visto d'ingresso né obbligo equivalente, salvo per i membri della famiglia che non possiedono la cittadinanza di uno degli Stati membri. Gli Stati membri accordano a tali persone ogni agevolazione per l'ottenimento dei visti ad esse necessari».

8.
    L'art. 4 così recita:

«1. Gli Stati membri riconoscono il diritto di soggiorno sul loro territorio alle persone di cui all'articolo 1, che siano in grado di esibire i documenti indicati al paragrafo 3.

2. Il diritto di soggiorno viene comprovato con il rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro della CEE”. Tale documento deve contenere la menzione che esso è stato rilasciato in conformità del regolamento (CEE) n. 1612/68 e delle disposizioni adottate dagli Stati membri in applicazione della presente direttiva. Il testo di questa menzione figura in allegato alla presente direttiva.

3. Per il rilascio della carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro della CEE, gli Stati membri possono esigere soltanto la presentazione dei documenti qui di seguito indicati:

- dal lavoratore:

a)    il documento in forza del quale egli è entrato nel loro territorio;

b)    una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro o un attestato di lavoro;

- dai membri della famiglia:

c)    il documento in forza del quale sono entrati nel loro territorio;

d)    un documento rilasciato dall'autorità competente dello Stato d'origine o di provenienza attestante l'esistenza del vincolo di parentela;

e)    nei casi contemplati dall'articolo 10, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68, un documento rilasciato dall'autorità competente dello Stato d'origine o di provenienza, da cui risulti che sono a carico del lavoratore o che con esso convivono in detto paese.

4. Ai membri della famiglia che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciato un documento di soggiorno di validità uguale a quello rilasciato al lavoratore da cui dipendono».

9.
    Il regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (4) (in prosieguo: il «regolamento n. 1612/68»), dispone all'art. 10 quanto segue:

«1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

a)    il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

b)    gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

2. Gli Stati membri favoriscono l'ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.

3. Ai fini dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri».

10.
    La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (5) (in prosieguo: la «direttiva 73/148»), ai sensi dell'art. 1, si applica, inter alia, alle seguenti persone:

«1. Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente direttiva, le restrizioni al trasferimento e al soggiorno:

a)    dei cittadini di uno Stato membro che si siano stabiliti o che desiderino stabilirsi in un altro Stato membro per esercitarvi un'attività indipendente, o che desiderino effettuarvi una prestazione di servizi;

b)    dei cittadini degli Stati membri che desiderino recarsi in un altro Stato membro in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;

c)    del coniuge e dei figli d'età inferiore a 21 anni dei cittadini suddetti, qualunque sia la loro cittadinanza;

d)    degli ascendenti e discendenti dei cittadini suddetti e del coniuge di tali cittadini che sono a loro carico, qualunque sia la loro cittadinanza».

11.
    Ai sensi dell'art. 3, n. 1, gli Stati membri ammettono nel rispettivo territorio le persone di cui all'art. 1 dietro semplice presentazione di una carta d'identità o di un passaporto validi.

12.
    L'art. 3, n. 2, presenta la stessa formulazione dell'art. 3, n. 2, della direttiva 68/360.

13.
    L'art. 4, n. 3, stabilisce quanto segue:

«Ai membri della famiglia che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciato un documento di soggiorno di validità uguale a quello rilasciato al cittadino dal quale dipendono».

14.
    L'art. 6 così dispone:

«Per il rilascio della carta e del permesso di soggiorno lo Stato membro può esigere dal richiedente soltanto:

a)    l'esibizione del documento in forza del quale egli è entrato nel suo territorio;

b)    la prova che egli rientra in una delle categorie di cui agli articoli 1 e 4».

15.
    Il regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (6), disciplina l'obbligo del visto, tra l'altro, in relazione a cittadini di paesi terzi che figurano nell'elenco di cui all'allegato. Detto regolamento è stato sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 12 marzo 1999, n. 574, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (7) (in prosieguo: il «regolamento n. 574/99»).

B - Diritto nazionale

16.
    La legge 15 dicembre 1980 - nel frattempo più volte modificata -, sull'accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l'allontanamento degli stranieri (8), contiene al titolo II, capitolo primo (artt. 40-47), disposizioni concernenti «Stranieri cittadini di Stati membri delle Comunità europee, membri delle loro famiglie, stranieri membri della famiglia di un cittadino belga». Dette disposizioni sono state adottate tenuto conto del Trattato CE e del regolamento n. 1612/68, nonché per il recepimento di alcune direttive.

17.
    In esecuzione dell'art. 42 della legge 15 dicembre 1980, il regio decreto 8 ottobre 1981 ha stabilito le condizioni cui è subordinato il riconoscimento del diritto di soggiorno e la procedura per il rilascio del permesso di soggiorno.

18.
    Il 28 agosto 1997, il ministero dell'Interno e il ministero della Giustizia hanno emesso una circolare sulla procedura per le pubblicazioni matrimoniali e i documenti da produrre per ottenere un visto per contrarre matrimonio nel Regno del Belgio o per ottenere un visto per il ricongiungimento dei nuclei familiari a seguito di matrimonio contratto all'estero (9) (in prosieguo: la «circolare»).

19.
    Il punto 4 della circolare dispone, tra l'altro, quanto segue:

«4. Presentazione della domanda di soggiorno dopo la celebrazione del matrimonio

(...) per quanto riguarda il soggiorno, va ricordato che i documenti richiesti per l'ingresso nel Regno devono essere prodotti a sostegno della domanda di soggiorno presentata in base all'art. 10, primo capoverso, n. 1 o 4, ovvero dell'art. 40, paragrafi 3-6, della legge 15 dicembre 1980 sull'accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l'allontanamento degli stranieri.

Ciò significa in concreto che lo straniero deve essere in possesso di un passaporto nazionale valido o, in sostituzione, di un titolo di viaggio corredato, se del caso, di un visto o, in sostituzione, di un'autorizzazione, valido per il Belgio, apposto da un rappresentante diplomatico o consolare belga o da quello di uno Stato che fa parte di una convenzione internazionale relativa all'attraversamento delle frontiere esterne, che vincola il Belgio (art. 2 della legge 15 dicembre 1980).

Qualora lo straniero non produca questi documenti d'ingresso, la sua domanda di soggiorno è in linea di principio dichiarata irricevibile».

La detta irricevibilità non è espressamente prevista né dalla legge 15 dicembre 1980 né dal regio decreto 8 ottobre 1981.

20.
    Il punto 6 della circolare prevede, tra l'altro, quanto segue:

«Documenti che devono essere prodotti per ottenere un visto di ricongiungimento dei nuclei familiari a seguito di un matrimonio contratto all'estero.

A. Ricongiungimento dei nuclei familiari ai sensi dell'art. 10, primo comma, nn. 1 o 4, della legge 15 dicembre 1980.

(...);

2) in base all'art. 10, primo comma, n. 1, della legge (applicazione delle convenzioni bilaterali relative all'impiego in Belgio di lavoratori stranieri, stipulate tra il Belgio ed il Marocco, la Turchia, la Tunisia, l'Algeria e la Yugoslavia, approvate con legge 13 dicembre 1976, Moniteur belge 17 giugno 1977):

(...);

-    la prova che il coniuge in Belgio è ivi occupato [attestazione del datore di lavoro, contratto di lavoro, iscrizione nel registro di commercio (...)];

-    una copia del permesso di lavoro o della tessera professionale del coniuge in Belgio;

-    la prova che il coniuge in Belgio ha ivi lavorato per tre mesi almeno (un mese per i turchi)».

III - Fatti e procedimento principale

21.
    Il 28 novembre 1997 la A.S.B.L. Mouvement contre le racisme, l'antisémitisme et la xénophobie (in prosieguo: il «MRAX») ha proposto dinanzi al Conseil d'État belga (Sezione amministrativa) un ricorso per l'annullamento («annullation») dei punti 4 e 6 della circolare.

22.
    Il Conseil d'État ha respinto il ricorso per quanto riguarda il punto 6.

23.
    Per quanto attiene al punto 4, il MRAX fonda il proprio ricorso adducendo che detta disposizione viola gli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221, l'art. 10 della direttiva 68/360, l'«art. 6 del Trattato di Maastricht» ed altre disposizioni belghe.

24.
    Poiché il Conseil d'État ritiene che l'interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario pertinenti nel procedimento principale non sia chiara, esso ha sottoposto alla Corte, con sentenza 23 novembre 1999, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se l'art. 3 della direttiva 15 ottobre 1968, 68/360, l'art. 3 della direttiva 21 maggio 1973, 73/148, nonché il regolamento 25 settembre 1995, n. 2317, letti alla luce del principio di proporzionalità, del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono respingere alla frontiera gli stranieri soggetti all'obbligo del visto, coniugati con cittadini comunitari, che tentino di entrare nel territorio di uno Stato membro senza disporre di un documento d'identità o di un visto.

2)    Se l'art. 4 della direttiva 68/360 e l'art. 6 della direttiva 73/148, letti alla luce degli artt. 3 delle sopracitate direttive, nonché del principio di proporzionalità, del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono rifiutare il permesso di soggiorno al coniuge di un cittadino comunitario, entrato irregolarmente nel loro territorio, ed adottare nei suoi confronti una misura di espulsione.

3)    Se gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360 l'art. 3 della direttiva 73/148 e l'art. 3, n. 3, della direttiva 25 febbraio 1964, 64/221, implichino che gli Stati membri non possono né rifiutare il permesso di soggiorno né espellere il coniuge straniero di un cittadino comunitario, regolarmente entrato nel territorio nazionale ma il cui visto sia scaduto al momento in cui chiede il rilascio di tale permesso.

4)    Se gli artt. 1 e 9, n. 2, della direttiva 64/221, debbano essere interpretati nel senso che il coniuge straniero di un cittadino comunitario, sprovvisto di documenti d'identità, di visto o il cui visto sia scaduto, dispone della facoltà di adire l'autorità competente di cui all'art. 9, n. 1, qualora chieda il rilascio di un primo permesso di soggiorno o sia oggetto di un provvedimento di espulsione prima del rilascio di tale permesso».

IV - Osservazioni preliminari sul ricongiungimento dei nuclei familiari

25.
    Il procedimento in esame riguarda in sostanza lo status che acquisiscono dal punto di vista del diritto di soggiorno cittadini di un paese terzo coniugati con un cittadino di uno Stato membro, e in particolare la tutela della vita familiare contro provvedimenti che pongono fine al soggiorno o pregiudicano il ricongiungimento dei nuclei familiari, nonché la tutela giuridica.

26.
    La grande rilevanza del ricongiungimento familiare (10) emerge già dal fatto che detta questione è oggetto di regolamentazione in una serie di atti giuridici internazionali, come ad esempio il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione sui diritti del fanciullo, la Convenzione internazionale sulla tutela dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, la Convenzione europea sullo status giuridico dei lavoratori migranti, nonché la Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») e la Carta sociale europea.

27.
    Inoltre, il ricongiungimento dei nuclei familiari costituisce da anni una delle cause sostanziali dell'immigrazione nell'Unione europea. Per di più, esso è anche un elemento rilevante per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi nell'Unione europea prima dei loro familiari.

28.
    In questo contesto è d'uopo osservare che il diritto comunitario attualmente vigente, fatte salve normative applicabili a cittadini di paesi terzi familiari di cittadini di uno Stato membro, non contiene disposizioni in materia di ricongiungimento dei nuclei familiari. A motivo del suo carattere giuridicamente non vincolante, non occorre qui esaminare in dettaglio la risoluzione del Consiglio relativa al ricongiungimento dei nuclei familiari del 1993 (11).

29.
    Il piano d'azione del Consiglio e della Commissione adottato sulla scorta del Trattato di Amsterdam su uno «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia» prevede per contro una serie di atti giuridici concreti. Tra questi vi è anche - allo stato di proposta - la direttiva relativa al diritto al ricongiungimento familiare; a tutt'oggi però è ancora giacente al Consiglio in attesa di delibera la proposta modificata della Commissione (12).

30.
    Pertanto, allo stato attuale del diritto comunitario, la situazione giuridica di cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato membro che risiede nel proprio Stato membro e che non ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, è disciplinata soltanto dal diritto nazionale in materia di ricongiungimento familiare (13).

31.
    Quindi, ai sensi del diritto comunitario attualmente vigente, sussiste una differenza sostanziale tra cittadini di paesi terzi il cui coniuge ha esercitato i diritti derivantigli dal diritto comunitario e cittadini di paesi terzi il cui coniuge non ha mai esercitato tali diritti (14).

Anche nel presente procedimento si deve partire da tale premessa fondamentale.

32.
    Salvo indicazioni contrarie, le considerazioni svolte qui di seguito su cittadini di paesi terzi riguardano cittadini di paesi terzi coniugati con un cittadino dell'Unione.

V - Sulla prima questione pregiudiziale (respingimento alla frontiera)

33.
    La prima questione pregiudiziale riguarda il respingimento alla frontiera di un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino comunitario, sprovvisto di documento d'identità o visto, intendendo per frontiera i confini esterni del Belgio.

A - Argomenti delle parti

34.
    Il MRAX ritiene che il respingimento di uno straniero alla frontiera costituisca una violazione dell'art. 3 della direttiva 68/360, dell'art. 3 della direttiva 73/148, del regolamento n. 2317/95 e dell'art. 8, n. 2, della CEDU.

Esso ritiene che l'esame delle condizioni per il rilascio di un visto debba avvenire in Belgio e non nel paese d'origine del cittadino non comunitario.

35.
    Il governo belga constata che spetta agli Stati membri esaminare se le persone che intendono entrare nei loro territori o che vi sono già entrate e fanno valere un diritto di soggiorno possano invocare il diritto comunitario. In tale contesto sarebbe necessario provare l'identità e i rapporti di parentela.

Molte circostanze riguardanti la persona del cittadino di un paese terzo potrebbero essere chiarite solo dalle autorità di rappresentanza belghe nel paese d'origine del cittadino del paese terzo. Pertanto, sarebbe preferibile rilasciare il visto nel paese terzo piuttosto che nello stesso Belgio.

Inoltre, l'obbligo del visto costituirebbe uno strumento per verificare in particolare se la persona che sostiene di poter entrare nel territorio di uno Stato membro in qualità di coniuge di un cittadino di uno Stato membro soddisfi effettivamente le condizioni necessarie. Su questa base, gli Stati membri potrebbero negare taluni diritti ai cittadini degli Stati membri e ai loro familiari in forza della direttiva 64/221.

36.
    Il governo austriaco aderisce agli argomenti del governo belga in quanto la disparità di trattamento derivante dall'obbligo del visto, non essendo fondata su considerazioni non oggettive, non costituirebbe una discriminazione. Lo stesso dicasi per la disparità di trattamento tra persone che hanno ottemperato all'obbligo di richiedere un visto, da un lato, e coloro che non si sono conformati a detto obbligo, dall'altro.

Alla luce della libera circolazione delle persone e del principio di proporzionalità, uno Stato membro potrebbe prevedere deroghe al principio generale dell'obbligo del visto, segnatamente in casi particolari in cui l'interessato possa far valere circostanze eccezionali a suo favore, come prevedrebbe anche l'art. 4 del regolamento n. 574/99.

37.
    La Commissione ritiene che, se si può negare l'ingresso ad un cittadino di uno Stato membro, quando non sia in grado di provare la sua cittadinanza, lo stesso dovrebbe valere anche per cittadini di paesi terzi che non possano dimostrare il loro diritto a motivo di un legame familiare con un cittadino di uno Stato membro.

Tuttavia, se un cittadino di un paese terzo può provare i diritti derivantigli dal diritto comunitario, la mancanza di un visto non dovrebbe ledere tali diritti e non potrebbe in alcun caso giustificare un respingimento, che costituirebbe proprio la negazione di tali diritti. Pertanto detto provvedimento sarebbe una misura sproporzionata.

Nel caso di una persona che vanta un legame familiare con un lavoratore migrante, il visto avrebbe solo carattere formale e andrebbe rilasciato dallo Stato membro in cui si desidera entrare in modo quasi automatico. In nessun caso il visto sarebbe volto a determinare lo status giuridico comunitario della persona interessata. Il diritto di ingresso si fonderebbe sul diritto comunitario solo a motivo del legame familiare.

I compiti affidati ai consolati nei paesi d'origine dei cittadini di paesi terzi costituirebbero soltanto una misura organizzativa e non potrebbero limitare i diritti derivanti dal diritto comunitario.

B - Valutazione

38.
    Allo stato attuale del diritto comunitario, lo status dei coniugi cittadini di paesi terzi si basa sulla situazione giuridica del cittadino dell'Unione. Detti cittadini di paesi terzi dispongono quindi solo di diritti derivanti loro dal coniuge, ad esempio per l'ingresso e il soggiorno in uno Stato membro.

39.
    Tuttavia, lo status che il diritto comunitario conferisce a cittadini di paesi terzi non discende dal diritto primario, bensì esclusivamente dal diritto derivato.

40.
    Infatti, ai sensi dell'art. 1 della direttiva 68/360 e dell'art. 1 della direttiva 73/148, cittadini di paesi terzi coniugati con un cittadino dell'Unione rientrano nel gruppo di persone cui si applicano le due direttive. Di conseguenza, essi fanno parte dei cittadini di paesi terzi privilegiati.

1. Condizioni di ingresso - Potere degli Stati membri di esigere un visto

41.
    La prima questione pregiudiziale riguarda il potere degli Stati membri di respingere alla frontiera cittadini di paesi terzi, coniugati con un cittadino dell'Unione, sprovvisti di documento d'identità o di visto.

42.
    Nel caso dei familiari, in particolare dei coniugi di cittadini dell'Unione, si applicano le disposizioni identiche - almeno in sostanza nella versione tedesca - di cui agli artt. 3, n. 1, delle direttive 68/360 e 73/148. Ai sensi delle dette disposizioni, gli Stati membri ammettono nel loro territorio le persone dietro «semplice» (15) presentazione di una carta d'identità o di un passaporto validi.

43.
    Tuttavia gli artt. 3, n. 2, delle direttive 68/360 e 73/148 - identici nella lingua processuale e quasi equivalenti nella versione tedesca (16) - dispongono una deroga al detto obbligo fondamentale degli Stati membri e al corrispondente diritto di ingresso. Conformemente a dette disposizioni parallele, si può infatti imporre un visto a familiari cittadini di paesi terzi.

44.
    Il disposto di cui agli artt. 3 delle direttive 68/360 e 73/148 mantiene quindi l'obbligo del visto per detti familiari (17). Ciò comporta anche un'altra differenza sostanziale rispetto ai cittadini dello Stato membro. In compenso, gli artt. 3, n. 2, delle due direttive impongono agli Stati membri di concedere a tali familiari «ogni agevolazione» per l'ottenimento dei visti ad esse necessari.

45.
    Il regolamento n. 2317/95, sostituito dal regolamento n. 574/99, contiene l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne della Comunità. Poiché i detti regolamenti non prevedono disposizioni speciali per i coniugi di cittadini dell'Unione, occorre considerare che tale obbligo di visto vale anche per questo gruppo di persone.

46.
    Anche gli artt. 4 dei due regolamenti fanno propendere per l'esigenza dell'obbligo di visto per i familiari cittadini di paesi terzi. Infatti, i detti regolamenti escludono talune categorie di persone dall'obbligo del visto. Poiché la categoria dei familiari cittadini di paesi terzi non vi figura, si giunge alla conclusione, a contrario, che tali familiari non sono affatto esonerati dall'obbligo del visto.

47.
    Parimenti, contrasterebbe con la disposizione di cui agli artt. 3, n. 2, delle direttive 68/360 e 73/148 se ne volesse trarre un obbligo generico degli Stati membri di rilasciare un visto ai familiari. Entrambe le disposizioni delle direttive limitano l'obbligo degli Stati membri alla concessione di «agevolazioni».

48.
    Per contro, il fatto che si debba concedere «ogni agevolazione» può comunque far pensare ad agevolazioni concernenti la procedura di rilascio di un visto. Infatti si potrebbe ammettere un obbligo di accelerare l'iter rispetto a procedure concernenti cittadini di paesi terzi non privilegiati, in particolare riguardo alla riduzione della durata.

49.
    In ogni caso si deve rilevare che gli Stati membri non hanno solo il potere, bensì in taluni casi anche il dovere, di esigere un visto dai familiari quando questi non sono in possesso della cittadinanza di uno Stato membro.

50.
    Occorre ora esaminare la questione dei poteri di cui dispongono gli Stati membri se il cittadino di un paese terzo è sprovvisto di documento d'identità o di visto. A tale riguardo la questione pregiudiziale si limita a menzionare il potere degli Stati membri di respingere gli stranieri alla frontiera. E' quindi superfluo esaminare, come fa la Commissione, di quali possibilità dispongano gli Stati membri per comminare sanzioni.

2. Potere degli Stati membri di adottare provvedimenti di respingimento alla frontiera

51.
    Occorre anzitutto sottolineare ancora una volta che il potere e - in alcuni casi - l'obbligo degli Stati membri di esigere un visto da cittadini di paesi terzi, ed anche da coniugi di cittadini dell'Unione, è espressamente disciplinato dal diritto comunitario, ma non il respingimento alla frontiera.

52.
    Il respingimento rappresenta uno dei molti possibili provvedimenti che lo Stato membro può adottare in questo contesto. Tuttavia è d'uopo chiarire che dall'obbligo del visto cui sono soggetti i cittadini di paesi terzi non deriva automaticamente un potere ovvero un obbligo di respingimento.

53.
    Poiché dall'obbligo di cui agli artt. 3, n. 2, delle direttive 68/360 e 73/148 di «[concedere] ogni agevolazione» ai familiari non è possibile dedurre un obbligo di rilascio di un visto alla frontiera, da esso non si può dedurre - perlomeno a prima vista - un divieto di una misura di respingimento alla frontiera.

54.
    Piuttosto, dalle condizioni di ingresso di cui agli artt. 3 delle direttive 68/360 e 73/148 si può persino dedurre il potere degli Stati membri di respingere soggetti alla frontiera. Infatti, qualora un cittadino di un paese terzo non soddisfi una condizione, come ad esempio la presentazione di un documento d'identità o di un visto validi, non vige neanche l'obbligo degli Stati membri di autorizzare l'ingresso di detto familiare. Infatti, a differenza di quanto sostiene la Commissione, non occorre distinguere se il cittadino di un paese terzo sia sprovvisto di un documento d'identità o - semplicemente - di un visto validi. Il regolamento n. 2317/95, sostituito dal regolamento n. 574/99, dimostra infatti che l'obbligo del visto non costituisce un obbligo subordinato. Il disposto di cui agli artt. 5 dei due regolamenti definisce espressamente il visto come «autorizzazione (...) necessaria per l'ingresso». Il diritto comunitario parte quindi dal presupposto che il visto costituisca una condizione, di fatto addirittura necessaria, per l'ingresso.

55.
    Pertanto, in prosieguo è d'uopo esaminare in dettaglio il principio di non discriminazione menzionato nella questione pregiudiziale e in seguito ricercare quale significato rivesta il diritto al rispetto della vita familiare in un caso come quello del procedimento principale.

56.
    Per quanto attiene al principio di proporzionalità espressamente citato nella questione pregiudiziale, va osservato che esso non richiede un'analisi separata, bensì va considerato in relazione al diritto al rispetto della vita familiare. Ciò emerge dal fatto che una delle condizioni che legittimano l'ingerenza in detto diritto fondamentale è costituita dalla proporzionalità del provvedimento adottato dallo Stato interessato.

a) Principio di non discriminazione

57.
    Per quanto riguarda il principio di non discriminazione, nel caso di specie si tratta in sostanza di stabilire se cittadini di paesi terzi in possesso di documento d'identità o di visto possano ricevere un trattamento diverso, in materia d'ingresso, da quello riservato a cittadini di paesi terzi che non soddisfano detta condizione.

58.
    Occorre anzitutto osservare che non tutte le disparità di trattamento costituiscono una violazione del divieto di discriminazione. Infatti la disparità di trattamento tra due gruppi di persone è ammissibile se giustificata da ragioni oggettive.

59.
    Vero è che nella dottrina è controverso se anche cittadini di paesi terzi possano far valere il divieto di discriminazione; tuttavia, la particolarità del presente procedimento consiste nel fatto che esso verte su cittadini di paesi terzi coniugati con cittadini dell'Unione, quindi cittadini di paesi terzi che - almeno sotto alcuni aspetti - rientrano nell'ambito di applicazione del diritto comunitario. Pertanto, risulta essere loro applicabile anche il divieto di discriminazione. Tuttavia, quantunque si possa considerare che cittadini di paesi terzi assoggettati al diritto comunitario derivato rientrino nell'ambito di applicazione del Trattato e, di conseguenza, possano far valere il divieto di discriminazione di cui all'art. 12 CE, tuttavia è d'uopo precisare che il caso di specie non verte sulla parità di trattamento tra cittadini di paesi terzi e cittadini di un dato Stato membro o dell'Unione in forza di tale disposizione del Trattato, bensì sul trattamento di due distinte categorie di cittadini di paesi terzi. Pertanto nella fattispecie viene piuttosto in esame, quale fondamento giuridico del divieto di discriminazione, il principio generale di uguaglianza che fa parte dei principi generali del diritto (18).

60.
    La distinzione operata da uno Stato membro tra cittadini di paesi terzi sprovvisti di visto e cittadini di paesi terzi muniti di visto si basa su un criterio che di per sé non va qualificato come discriminatorio. Infatti, in relazione a normative in materia di stranieri, in particolare a quelle relative all'ingresso, siffatto criterio non è privo di oggettività. Pertanto, per questo stesso fatto, non sembra giustificabile una parità di trattamento tra i due gruppi di persone.

b) Diritto al rispetto della vita familiare e principio di proporzionalità

61.
    Richiamandosi al diritto al rispetto della vita familiare il giudice nazionale esamina un diritto fondamentale. A tale riguardo occorre constatare che la Corte ha il compito di garantire il rispetto dei diritti fondamentali (19). «A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato ed aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un particolare significato» (20). «Peraltro, tali principi sono stati ripresi dall'art. 6, n. 2, UE» (21).

62.
    Nel caso di specie la CEDU è rilevante in quanto costituisce un criterio alla cui luce occorre interpretare le disposizioni pertinenti di diritto derivato (22).

63.
    La prima questione pregiudiziale riguarda il caso del respingimento alla frontiera. Un siffatto provvedimento lede il diritto al rispetto della vita familiare sotto diversi aspetti. Da un lato, esso incide sull'obbligo negativo delle parti contraenti ovvero degli Stati membri, derivante dall'art. 8 della CEDU, che vieta ogni ingerenza nel diritto dei coniugi a vivere insieme (23). Dall'altro lato, viene messo in discussione l'obbligo positivo degli Stati (24) di concedere a taluni familiari l'accesso al loro territorio (25).

64.
    Nella fattispecie viene quindi in esame il nocciolo duro del diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall'art. 8 della CEDU (26), e in particolare la tutela dei vincoli matrimoniali (27).

65.
    Si deve dunque partire dal presupposto che il respingimento di un coniuge alla frontiera costituisca un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare.

66.
    Siffatta ingerenza è ammissibile solo se conforme ai requisiti di cui all'art. 8, n. 2, della CEDU. Secondo detta disposizione un'ingerenza nell'esercizio di questo diritto è ammissibile «purché sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

67.
    A tale proposito gli Stati membri dispongono di un certo potere discrezionale (28).

68.
    Tuttavia occorre interpretare in maniera restrittiva le limitazioni al diritto al rispetto della vita familiare. Il caso di specie verte sul criterio della necessità dell'ingerenza e, a tale riguardo, anzitutto sulla proporzionalità dell'ingerenza. In tale contesto occorre ponderare gli interessi privati e quelli pubblici. Al riguardo si devono prendere in considerazione tutte le circostanze pertinenti dei singoli casi.

69.
    Mentre la Corte è competente a fornire al giudice nazionale gli elementi di interpretazione atti a consentirgli di pronunciarsi sulla controversia specifica, spetta al giudice nazionale valutare i fatti in questione sulla base dei criteri individuati dalla Corte. In particolare a questo proposito va tenuto conto della natura dell'analisi da effettuare (29). L'applicazione ad un caso specifico delle disposizioni di diritto comunitario, come delle disposizioni relative al loro recepimento, resta quindi competenza del giudice nazionale.

70.
    Occorre notare che il procedimento principale non ha ad oggetto fatti specifici, bensì l'esame di una normativa nazionale generale ed astratta. Pertanto, per tale motivo la verifica alla luce della CEDU deve limitarsi ad aspetti fondamentali.

71.
    Gli Stati membri devono strutturare il loro ordinamento giuridico in modo tale da consentire di prendere in considerazione le circostanze rilevanti nell'ambito dell'esame della proporzionalità di un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare, come ad esempio la situazione familiare e altre circostanze personali o la ragionevolezza della partenza per il coniuge cittadino di un paese terzo residente nello Stato membro (30). Pertanto, al fine di tenere conto degli aspetti collettivi del diritto al rispetto della vita familiare, occorre prendere in considerazione, oltre agli interessi dei soggetti direttamente interessati, anche gli interessi degli altri familiari.

72.
    Pertanto occorre risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando che l'art. 3 della direttiva 68/360, l'art. 3 della direttiva 73/148 e il regolamento n. 2317/95 devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono respingere alla frontiera i cittadini di paesi terzi soggetti all'obbligo di visto, coniugati con cittadini della Comunità, che tentino di entrare nel territorio di uno Stato membro senza disporre di un documento d'identità o di un visto, solo se detto provvedimento è compatibile con il diritto al rispetto della vita familiare e in particolare con il principio di proporzionalità.

VI - Sulla seconda questione pregiudiziale (ingresso irregolare)

73.
    La seconda questione pregiudiziale ha per oggetto il diniego del documento di soggiorno e l'allontanamento dal territorio nel caso di un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino dell'Unione entrato irregolarmente in uno Stato membro.

A - Argomenti delle parti

74.
    Il MRAX sostiene che conformemente all'ordinamento giuridico belga un cittadino di un paese terzo, che ha sposato un cittadino belga durante il suo soggiorno illegale in Belgio, deve fare ritorno nel paese d'origine per ottenere il visto necessario per il suo permesso di soggiorno.

Il governo belga riserverebbe a cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto un visto nel loro paese d'origine e che richiedono un permesso di soggiorno un trattamento diverso da quello riservato a cittadini di paesi terzi che presentano la domanda di ottenimento del permesso di soggiorno e sono sprovvisti di visto. Il MRAX chiede se la detta disparità di trattamento tra i due gruppi di persone sia giustificata, poiché tra di loro non vi sono di fatto differenze. In un caso si tratterebbe di cittadini di paesi terzi che hanno inoltrato una domanda di visto, i quali si trovano nel loro paese d'origine e che chiedono di entrare in Belgio, mentre l'altro caso avrebbe ad oggetto cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente in Belgio, che si trovano quindi già nel territorio dello Stato, vi hanno contratto matrimonio e conducono ormai una vita familiare con il coniuge.

75.
    Il governo belga sostiene che occorre interpretare l'art. 4 della direttiva 68/360 e l'art. 6 della direttiva 73/148 nel senso che essi consentono ad uno Stato membro di rifiutare il documento di soggiorno ad un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino dell'Unione e di adottare nei suoi confronti una misura di allontanamento se è entrato irregolarmente nel territorio di detto Stato. Una diversa interpretazione priverebbe gli artt. 3 delle direttive 68/360 e 73/148 del loro significato e della loro efficacia.

Infine il governo belga sostiene che, considerati gli interessi in gioco, ovvero, da un lato, l'ordinamento pubblico e, dall'altro, il rispetto della vita privata e familiare, l'allontanamento dal territorio non può essere considerato come provvedimento sproporzionato.

76.
    Il governo austriaco rileva che sia il diritto primario che il diritto derivato prevedono, per gli stessi cittadini degli Stati membri, che il loro soggiorno nel territorio di uno Stato membro, diverso da quello di cui hanno la cittadinanza, possa terminare se e quando le condizioni di prolungamento del soggiorno non siano più soddisfatte. Dalle disposizioni di cui all'art. 10 della direttiva 68/360 e all'art. 8 della direttiva 73/148, pertinenti in questo contesto, si potrebbe concludere che di conseguenza a maggior ragione appare legittima l'espulsione di un familiare cittadino di un paese terzo.

77.
    La Commissione ritiene che, ai sensi della direttiva 64/221, il diniego del permesso di soggiorno possa essere fondato solo su motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza e che siffatta misura debba basarsi esclusivamente sul comportamento personale dell'interessato. L'entrata illegale nel territorio di uno Stato membro non potrebbe essere sistematicamente considerata come minaccia per l'ordine pubblico atta a mettere in discussione il diritto di soggiorno. Tuttavia gli Stati membri potrebbero infliggere sanzioni proporzionate. L'allontanamento dal territorio, unito all'arresto, sembrerebbe in ogni caso sproporzionato.

B - Valutazione

78.
    Occorre anzitutto rilevare la necessità di distinguere tra diritto di soggiorno e permesso di soggiorno. Mentre il diritto di soggiorno emerge ex lege dall'art. 4 della direttiva 68/360 ovvero dall'art. 4 della direttiva 73/148, il rilascio del documento di soggiorno non va considerato come un atto degli Stati membri «costitutivo di diritti» (31). Ciò significa che esso non può avere carattere costitutivo per il diritto di soggiorno.

1. Diniego del permesso di soggiorno

79.
    Si deve anzitutto sottolineare che la seconda questione pregiudiziale si riferisce al caso in cui il cittadino di un paese terzo è entrato illegalmente nel territorio di uno Stato.

80.
    L'art. 4 della direttiva 68/360 ovvero l'art. 6 della direttiva 73/148 prevedono che per il rilascio del permesso di soggiorno si può solo esigere la presentazione dei documenti indicati nelle dette disposizioni, come ad esempio il documento in forza del quale la persona interessata è entrata nel territorio dello Stato. Se ne conclude che gli Stati membri hanno l'obbligo di rilasciare il permesso di soggiorno in presenza di tali condizioni.

81.
    Né l'art. 4 della direttiva 68/360 ovvero gli artt. 4 e 6 della direttiva 73/148 né gli artt. 3 delle due direttive operano una distinzione in base al fatto che l'entrata sia avvenuta illegalmente o legalmente. Se ne può trarre la conclusione che il legislatore comunitario manifestamente non ha voluto subordinare il rilascio del permesso di soggiorno alla detta circostanza.

82.
    Il diniego del permesso di soggiorno va senza dubbio considerato come misura di ordine pubblico. Ai sensi dell'art. 3, n. 1, della direttiva 64/221, siffatti provvedimenti devono essere adottati «esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati». Pertanto una normativa nazionale generale e astratta, come ad esempio la circolare controversa, che non garantisce in maniera vincolante l'esame dei singoli casi, vale a dire la presa in considerazione di siffatti fattori, ad esempio prescrivendo genericamente il diniego del permesso di soggiorno in caso di ingresso illegale, è illecita.

2. Allontanamento dal territorio

83.
    L'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 stabilisce solo esplicitamente che, nel caso di scadenza del documento che ha consentito l'ingresso e il rilascio del permesso di soggiorno, l'allontanamento dal territorio non è giustificato.

84.
    Per contro, l'ipotesi formulata nella seconda questione pregiudiziale concerne già l'ingresso irregolare. Detto caso non è espressamente previsto dall'art. 3, n. 3. Da tale circostanza si potrebbe dedurre, a contrario, che gli Stati membri sono autorizzati in siffatti casi ad adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio.

85.
    Tuttavia, le altre disposizioni di cui all'art. 3 della direttiva 64/221 non fanno propendere per siffatta conclusione. Infatti, l'art. 3, n. 3, va senza dubbio inteso come lex specialis rispetto al principio - generico - di cui all'art. 3, n. 1. Pertanto, le sanzioni da infliggere nel caso di ingresso illegale rientrano, in mancanza di disposizioni più specifiche, nell'ambito di applicazione della disposizione generale di cui all'art. 3, n. 1, della direttiva 64/221.

86.
    L'allontanamento dal territorio come sanzione costituisce un provvedimento di ordine pubblico ai sensi dell'art. 3, n. 1. Tuttavia, conformemente a detta disposizione, per siffatti provvedimenti può essere determinante esclusivamente il comportamento personale della persona interessata. Ciò significa che una normativa nazionale generale e astratta, come ad esempio la circolare controversa, che non garantisce in maniera vincolante l'esame dei singoli casi, vale a dire la presa in considerazione di tali fattori, ad esempio prescrivendo in maniera generale l'allontanamento dal territorio in caso di ingresso illegale, è illecita.

87.
    Conformemente alla sentenza della Corte nella causa Royer, è in contrasto con le disposizioni comunitarie l'allontanamento di un cittadino comunitario dal territorio «che fosse motivato esclusivamente dall'omissione, da parte dell'espulso, di sottoporsi alle formalità di legge relative al controllo degli stranieri ovvero dalla mancanza del documento di soggiorno» (32).

88.
    Nella sentenza nella causa Pieck (33) la Corte ha considerato illecita una proposta di espulsione nel caso in cui un cittadino dell'Unione ometta di munirsi della carta di soggiorno speciale contemplata dall'art. 4 della direttiva 68/360.

89.
    Le sentenze nella causa Royer e nella causa Pieck sembrano in linea di principio, per quanto attiene agli aspetti pertinenti nella fattispecie, applicabili per analogia a cittadini privilegiati di paesi terzi, come ad esempio i coniugi di cittadini dell'Unione.

90.
    Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, altre sanzioni, quali l'ammenda e l'arresto, previste in casi di comportamento illecito, tra cui la violazione delle disposizioni in materia di ingresso, sono in linea di principio lecite. Ciò vale nondimeno a condizione che le sanzioni siano proporzionate (34) o - in altre parole - costituiscano «provvedimenti coercitivi adeguati» (35).

a) Principio di non discriminazione

91.
    Per quanto attiene al divieto di discriminazione ai sensi dei principi generali del diritto, occorre notare - come ha osservato nell'ambito della soluzione della prima questione pregiudiziale - che una differenziazione, riguardo al rilascio del permesso di soggiorno, a seconda che il richiedente sia o meno in possesso di un visto valido non va considerata a priori come non oggettiva. Pertanto, per questo stesso fatto, non sembra giustificabile una parità di trattamento fra i due gruppi di persone.

b) Diritto al rispetto della vita familiare e principio di proporzionalità

92.
    Anche per la soluzione della seconda questione pregiudiziale occorre evidenziare in primo luogo il carattere generale della controversia nel procedimento principale e, in secondo luogo, il compito della Corte di fornire al giudice nazionale unicamente elementi di interpretazione del diritto comunitario atti a consentirgli di pronunciarsi nella causa. Ne consegue che in particolare l'interpretazione alla luce della CEDU debba limitarsi ad aspetti fondamentali. L'applicazione ai casi specifici delle disposizioni comunitarie nonché delle disposizioni nazionali di recepimento è di competenza del giudice nazionale.

93.
    Come ho osservato in precedenza, nel caso di specie occorre partire dal presupposto che il diniego del permesso di soggiorno al coniuge di un cittadino dell'Unione e il suo allontanamento dal territorio costituiscono un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare.

94.
    Siffatta ingerenza è ammissibile solo alle condizioni di cui all'art. 8, n. 2, della CEDU, già menzionate e da interpretarsi in maniera restrittiva, laddove gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale.

95.
    Nell'ambito della ponderazione degli interessi privati e pubblici, da effettuare nella fattispecie al fine di valutare la proporzionalità, è d'uopo prendere in considerazione tutte le circostanze pertinenti del singolo caso specifico.

96.
    A tale riguardo, nel caso di specie occorre altresì attribuire particolare rilevanza alla circostanza che il cittadino del paese terzo in questione abbia violato disposizioni in materia di diritto degli stranieri.

97.
    Pertanto occorre risolvere la seconda questione pregiudiziale dichiarando che l'art. 4 della direttiva 68/360 e l'art. 6 della direttiva 73/148, interpretati alla luce degli artt. 3 delle direttive citate, nonché dell'art. 3 della direttiva 64/221, devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono rifiutare il permesso di soggiorno al coniuge di un cittadino comunitario entrato irregolarmente nel loro territorio ed adottare nei suoi confronti una misura di allontanamento soltanto quando ciò è compatibile con il diritto al rispetto della vita familiare, e in particolare con il principio di proporzionalità.

VII - Sulla terza questione pregiudiziale (ingresso regolare, scadenza del visto)

98.
    La terza questione pregiudiziale concerne il diniego del documento di soggiorno e l'allontanamento di un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino comunitario, dal territorio in cui è entrato regolarmente ed il cui visto è scaduto al momento in cui chiede il rilascio del permesso di soggiorno.

A - Argomenti delle parti

99.
    Il MRAX sostiene che la scadenza del visto non può giustificare l'allontanamento dal territorio dello Stato membro, come prevedrebbe l'art. 4 della circolare. Infatti l'art. 4 della direttiva 68/360 non esigerebbe che i documenti in forza dei quali è stato concesso l'ingresso siano sempre in corso di validità.

100.
    Il governo belga ritiene che la soluzione della detta questione emerga in maniera chiara dalla lettera dell'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221. Secondo tale disposizione, il documento in forza del quale il coniuge di un cittadino di uno Stato membro è entrato nel suo territorio può essere costituito esclusivamente dal passaporto con visto valido da esibire al momento in cui tale coniuge chiede il rilascio del permesso di soggiorno. Per contro, la scadenza di detto documento, successivamente al rilascio del permesso di soggiorno avvenuto in forza della presentazione del passaporto, non potrebbe affatto giustificare l'allontanamento dal territorio dello Stato membro.

101.
    Il governo austriaco ritiene che la scadenza del visto nel territorio nazionale successivamente all'ingresso regolare del coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro non costituisca un caso di applicazione dell'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221. Pertanto non verrebbe neanche in esame la questione della giustificazione di un allontanamento dal territorio. La scadenza del visto giustificherebbe il diniego del permesso di soggiorno.

102.
    Secondo la Commissione, la soluzione della questione in esame si fonderebbe sulle stesse premesse del caso di ingresso irregolare. Sulla base del legame familiare con un cittadino di uno Stato membro si dovrebbero applicare le direttive 68/360 e 73/148, nonché la sentenza nella causa Royer (36). La Commissione ne deduce che la scadenza di un visto dopo l'ingresso non giustifica in linea di principio il diniego del permesso di soggiorno. La mancanza di tale requisito formale non inficerebbe la validità del passaporto al fine del rilascio del permesso di soggiorno, come del resto confermerebbe l'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221. La Commissione ritiene che il legislatore comunitario evidenzi in tal modo l'aspetto sostanziale di tale formalità e non la mera forma. Il fatto che la detta disposizione disciplini solo la scadenza di un documento d'identità o di un passaporto e non quella di un visto sarebbe ininfluente.

B - Valutazione

1. Diniego del permesso di soggiorno

103.
    E' vero che la disposizione invocata dalle parti di cui all'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 disciplina il caso in cui la carta d'identità o il passaporto sono scaduti; tuttavia, essa si riferisce ad una situazione che si distingue per due aspetti da quella all'origine della terza questione pregiudiziale. In primo luogo, la questione pregiudiziale concerne il caso in cui è scaduto un visto, e non il documento in forza del quale è stato concesso l'ingresso. In secondo luogo, l'art. 3, n. 3, disciplina il caso in cui i documenti perdono validità dopo il rilascio del permesso di soggiorno, mentre la terza questione riguarda il caso in cui il visto è scaduto già prima della domanda del permesso di soggiorno.

104.
    Pertanto, l'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 può disciplinare soltanto l'allontanamento dal territorio, e non il rilascio del permesso di soggiorno.

105.
    La soluzione della questione se gli Stati membri possano esigere l'esibizione di un visto valido per il rilascio del permesso di soggiorno emerge piuttosto dalle disposizioni comunitarie in cui sono espressamente enunciate le condizioni per il rilascio del documento di soggiorno.

106.
    L'art. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e l'art. 6 della direttiva 73/148 disciplinano le condizioni formali per il rilascio di un permesso di soggiorno.

107.
    Ai sensi di dette disposizioni, gli Stati membri possono esigere dal richiedente soltanto l'esibizione del documento in forza del quale è entrato nel loro territorio, un documento attestante l'esistenza del vincolo di parentela e - conformemente alla direttiva 68/360, per taluni membri della famiglia - un documento da cui risulti che è a carico del lavoratore o che è con lui convivente.

108.
    Le dette disposizioni non fanno più riferimento ad un visto, e nemmeno pertanto alla questione se il visto debba essere ancora valido.

109.
    Il fatto che un visto valido non possa costituire una condizione emerge anche dal confronto fra le disposizioni di cui agli artt. 3 delle direttive 68/360 e 73/148 relative alle condizioni per l'ingresso nel territorio di uno Stato membro. Infatti in questo caso si menziona espressamente l'obbligo del visto.

110.
    Del resto, in relazione al contenuto dei documenti la cui esibizione può essere richiesta per il rilascio di un permesso di soggiorno, un visto non sembra neanche indispensabile. Infatti, i documenti di cui all'art. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e all'art. 6 della direttiva 73/148 sono sufficienti affinché gli Stati membri possano accertare in particolare l'identità e la cittadinanza della persona interessata.

111.
    A ciò si aggiunge che il documento in forza del quale il cittadino di un paese terzo è entrato nel territorio del paese contiene anche il visto, seppure nel frattempo scaduto.

112.
    Quindi, in caso di ingresso regolare non è possibile rifiutare il permesso di soggiorno per il solo fatto che il visto è scaduto.

2. Allontanamento dal territorio

113.
    L'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 prevede, solo nel caso in cui il documento che ha consentito l'ingresso e il rilascio del permesso di soggiorno sia scaduto, un divieto espresso dell'allontanamento dal territorio.

114.
    Per contro, l'ipotesi esaminata nella terza questione pregiudiziale concerne la scadenza del visto prima della presentazione della domanda. Poiché anche in questo caso si tratta di una sanzione comminata per violazione di una disposizione in materia di diritto degli stranieri e di un caso non espressamente disciplinato dall'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, al fine di risolvere la terza questione, per quanto riguarda l'allontanamento dal territorio, occorre procedere secondo gli stessi criteri adottati nell'ambito della seconda questione.

115.
    Il caso di un siffatto visto scaduto rientra parimenti, in mancanza di disposizioni più specifiche, nell'ambito di applicazione delle disposizioni generali di cui all'art. 3, n. 1, della direttiva 64/221. A tale riguardo occorre rinviare alle considerazioni svolte in merito alla seconda questione.

116.
    Conformemente alla sentenza della Corte nella causa Royer, che in linea di principio può essere applicata per analogia a cittadini di paesi terzi per gli aspetti pertinenti nel caso di specie, gli Stati membri non possono reprimere «la violazione delle disposizioni nazionali relative al controllo degli stranieri» (37) con l'allontanamento dal territorio.

117.
    Tuttavia la violazione delle disposizioni controverse in materia di diritto degli stranieri può essere punita con «opportune sanzioni (...) atte a garantire l'osservanza delle disposizioni stesse» (38). Nondimeno, come sanzioni possono venire in esame solo «provvedimenti coercitivi adeguati» (39).

118.
    Ciò significa che il soggiorno nel territorio in seguito alla scadenza del visto può essere represso solo con una sanzione adeguata, ma non con l'allontanamento dal territorio.

119.
    Pertanto, è d'uopo risolvere la terza questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, gli artt. 3 e 6 della direttiva 73/148 e l'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri non possono né rifiutare il permesso di soggiorno né allontanare dal loro territorio il cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino comunitario, regolarmente entrato nel territorio nazionale, ma il cui visto è scaduto al momento in cui chiede il rilascio di tale documento di soggiorno.

VIII - Sulla quarta questione pregiudiziale (tutela giuridica)

120.
    La quarta questione pregiudiziale riguarda la tutela giuridica di un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino comunitario.

A - Argomenti delle parti

121.
    Il MRAX sostiene che l'attuale prassi amministrativa belga viola sia le direttive comunitarie sia l'art. 44 della legge 15 dicembre 1980. Infatti, i cittadini di paesi terzi coniugati con un cittadino di uno Stato membro non possono presentare alcuna domanda di revisione, ai sensi degli artt. 44 e 66 di detta legge. Essi potrebbero solo chiedere dinanzi al Conseil d'État la sospensione o l'annullamento della decisione di cui sono destinatari. Tale organo sarebbe solo competente ad esaminare la legittimità della decisione, ma non la sua adeguatezza alla luce dei fatti nel singolo caso. Tuttavia, in tutti i casi in cui potrebbe essere leso un diritto derivante dal diritto comunitario si dovrebbero prevedere sufficienti mezzi di ricorso.

Per quanto attiene all'applicazione del ricorso giurisdizionale previsto dall'art. 9 della direttiva 64/221, il MRAX rinvia alla sentenza nelle cause riunite Shingara e Radiom (40).

122.
    Il governo belga ritiene che gli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221 non si applichino a persone entrate irregolarmente.

123.
    Rinviando alle sentenze della Corte nella causa Royer e nella causa Santillo (41), il governo austriaco sostiene che il provvedimento di allontanamento dal territorio nei confronti di un soggetto tutelato dal diritto comunitario non può essere eseguito - salvo in caso d'urgenza - prima che l'interessato sia stato in grado di esperire i ricorsi consentitigli dagli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221.

Qualora il coniuge di un cittadino di uno Stato membro non soddisfi le condizioni di ingresso, gli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221 non sarebbero applicabili. Pertanto, detta persona non potrebbe neppure adire l'autorità competente ai sensi dell'art. 9, n. 1, della direttiva 64/221.

Tuttavia, la situazione sarebbe diversa se la carta d'identità o il passaporto che hanno consentito l'ingresso e il rilascio del permesso di soggiorno fossero scaduti. Tale caso non giustificherebbe l'allontanamento dal territorio e l'interessato godrebbe dei ricorsi consentiti, poiché egli rientra a pieno titolo nell'ambito di applicazione della direttiva.

124.
    La Commissione ritiene che l'art. 1, n. 2, della direttiva 64/221 si applichi anche a cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino di uno Stato membro. Accertato il legame familiare, dette persone disporrebbero delle possibilità di ricorso previste dall'art. 9, n. 2, della direttiva 64/221, anche quando il loro visto è scaduto.

Per contro, la Commissione ritiene che, in caso di mancanza di carta d'identità o passaporto, occorra rinviare alla soluzione riservata alla prima questione. Infatti, si deve poter accertare lo status di cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro affinché detto coniuge possa godere dei diritti sanciti dal diritto comunitario.

B - Valutazione

125.
    Come emerge dalla disposizione da interpretare di cui all'art. 9, n. 2, della direttiva 64/221, la quarta questione pregiudiziale ha ad oggetto l'esame del «provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno» nonché «quello di allontanamento dal territorio» da parte di un'autorità che non sia l'autorità amministrativa. Più precisamente, si tratta della questione della legittimazione attiva, vale a dire di stabilire chi ha diritto a chiedere siffatto esame.

126.
    A tale riguardo la questione pregiudiziale distingue la situazione in cui si trova il richiedente in quattro casi: mancanza di documento, mancanza di visto, documento scaduto, visto scaduto. Inoltre la questione pregiudiziale fa riferimento, per quanto riguarda l'oggetto dell'esame, a due diverse situazioni: domanda del primo permesso di soggiorno e allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso. Quindi la questione pregiudiziale comprende nel complesso otto differenti ipotesi.

127.
    Occorre anzitutto osservare che la disposizione di cui all'art. 9, n. 2, della direttiva 64/221 si applica espressamente sia ad un «provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno» che a «quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso». Quindi, riguardo all'ambito di applicazione ratione materiae per il quale la direttiva 64/221 prescrive un obbligo di esame, quanto alla quarta questione pregiudiziale non sussistono difficoltà interpretative.

128.
    Per contro, l'art. 9, n. 2, della direttiva non precisa ulteriormente i soggetti legittimati a presentare domanda, bensì parla unicamente di «interessato».

129.
    Quindi, poiché manca una definizione specifica dell'ambito di applicazione ratione personae per quanto riguarda il diritto a presentare domanda di cui all'art. 9, n. 2, della direttiva, occorre ricorrere alla disposizione generale relativa all'ambito di applicazione ratione personae della direttiva.

130.
    Ai sensi dell'art. 1, n. 2, della direttiva 64/221, le disposizioni di detta normativa trovano applicazione anche nei riguardi del coniuge e dei familiari che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle direttive adottati in questo settore in esecuzione del Trattato. Le condizioni per far sì che i familiari interessati nel caso di specie rientrino nell'ambito di applicazione della direttiva 64/221 emergono quindi anche dal diritto primario e da altre disposizioni di diritto derivato oltre dalla stessa direttiva 64/221.

131.
    Tuttavia, sarebbe sbagliato voler concludere dall'espressione «rispondono alle condizioni», come fa il governo belga, che solo le persone che soddisfano tutte le condizioni necessarie per l'ingresso e il soggiorno godono di un diritto a presentare domanda. Parimenti, sarebbe sbagliato limitare la quarta questione pregiudiziale al caso dell'ingresso irregolare e, di conseguenza, non voler concedere alcun diritto a presentare domanda a cittadini di paesi terzi già entrati irregolarmente.

132.
    La stessa lettera della disposizione va nel senso di un'interpretazione estensiva dell'ambito di applicazione ratione personae per quanto riguarda il diritto a presentare domanda. Infatti, l'art. 9, n. 2, riporta il termine «interessato» senza definire ulteriori condizioni. A ciò si ricollega anche la giurisprudenza della Corte quando considera che l'art. 9, n. 2, prevede che «i soggetti destinatari di una decisione (...) possono chiedere che tali provvedimenti siano sottoposti all'esame dell'autorità competente» (42).

133.
    Dalle due ipotesi presentate qui di seguito emerge che il diritto a presentare domanda non può dipendere in tutti i casi contemplati nella questione pregiudiziale dal fatto che siano soddisfatte le condizioni necessarie per l'ingresso, come il rilascio del permesso di soggiorno.

134.
    La prima situazione verte sul rilascio del primo permesso di soggiorno. Qualora tale documento venga rifiutato ad un cittadino di un paese terzo a motivo del fatto che le autorità considerano a torto che il vincolo di parentela non è dimostrato, il cittadino di un paese terzo in questione non potrebbe far esaminare se il documento di attestazione da lui presentato non costituisca una prova adeguata, nel caso in cui il suo documento sia scaduto dopo il suo ingresso nello Stato membro.

135.
    Nel secondo caso viene in esame l'allontanamento dal territorio. Qualora, ad esempio, il documento di un cittadino di un paese terzo scadesse e lo Stato membro potesse disporre l'allontanamento dal territorio, tale provvedimento violerebbe il divieto di cui all'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221. Impedire all'interessato di esercitare in siffatto caso il diritto all'esame del provvedimento di allontanamento avrebbe proprio come conseguenza che una delle ingerenze più gravi non venga esaminata.

136.
    Ancor più evidente è l'insostenibilità della tesi formulata dal governo belga, secondo cui i cittadini di paesi terzi già per aver diritto a presentare domanda devono soddisfare tutte le condizioni stabilite per l'ingresso e il soggiorno, laddove occorre esaminare dal punto di vista sostanziale se sussista o meno una delle condizioni necessarie per il rilascio del permesso di soggiorno. Tuttavia, in mancanza di condizioni formali, potrebbe essere impossibile procedere a tale esame sostanziale. Quindi, negando il diritto a presentare domanda in tutti i casi menzionati nella questione pregiudiziale, si escluderebbe al contempo l'esame di merito.

137.
    Tuttavia, l'esclusione assoluta del diritto a presentare domanda contrasta con l'art. 9, n. 2, della direttiva 64/221, da cui non va dedotto che si può prescindere dall'esame dei provvedimenti ivi citati per quanto riguarda taluni aspetti.

138.
    Nondimeno, a fini di esaustività, nella fattispecie occorre altresì osservare che la mancanza di documento d'identità o di visto, ovvero la scadenza di un documento o di un visto nell'ambito di una procedura relativa al rilascio di un primo permesso di soggiorno o all'allontanamento dal territorio, fatte salve le considerazioni relative alle altre questioni pregiudiziali, possono senza dubbio essere prese in considerazione o punite.

139.
    La questione relativa a quale significato giuridico rivesta la mancanza di un documento d'identità o di un visto ovvero la scadenza di un documento o di un visto dovrebbero costituire l'oggetto della procedura di esame. Quindi, occorrerebbe prendere una decisione in merito solo nell'ambito dell'esame della fondatezza e non in quello dell'esame della ricevibilità della domanda.

140.
    L'esclusione del diritto a presentare domanda in mancanza di un documento o di un visto, o in caso di documento o visto scaduti, comprometterebbe il minimo di garanzia processuale previsto dalla suddetta disposizione (43).

141.    Inoltre, anche i principi generali del diritto comunitario, inclusa la CEDU, inducono a ritenere che le condizioni per il diritto a presentare domanda non debbano essere interpretate in maniera troppo restrittivamente.

141.
    Poiché la direttiva 64/221 conferisce diritti a cittadini di paesi terzi, a tale riguardo viene in rilievo anche l'esigenza di un sindacato giurisdizionale su qualsiasi decisione di un'autorità nazionale, come sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU (44).

142.
    Infatti, dal principio del sindacato giurisdizionale (45) deriva la necessità che «i diritti (...) attribuiti possano essere effettivamente fatti valere dagli interessati» (46).

143.
    Infine, l'interpretazione estensiva dell'ambito di applicazione ratione personae del diritto a presentare domanda è corroborata dal principio, divenuto nel frattempo costante giurisprudenza della Corte, secondo cui i procedimenti intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti in forza delle norme di diritto comunitario non devono rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio di tali diritti (47). Tuttavia ciò si verificherebbe senza dubbio qualora si subordinasse il diritto controverso a presentare domanda all'esistenza di condizioni troppo rigorose.

144.
    Pertanto occorre risolvere la quarta questione pregiudiziale come segue: gli artt. 1 e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che i cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini comunitari, sprovvisti di documento d'identità, di visto o il cui documento d'identità o di visto sono scaduti, dispongono della facoltà di adire l'autorità competente di cui all'art. 9, n. 1, qualora chiedano il rilascio di un primo permesso di soggiorno o siano oggetto di un provvedimento di allontanamento prima del rilascio di tale permesso, quando dimostrano di fare parte dei soggetti rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 64/221. A tale riguardo, gli Stati membri devono procedere in modo tale da non rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario.

IX - Conclusione

145.
    Pertanto, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

1)    La prima questione dev'essere risolta dichiarando che l'art. 3 della direttiva 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità, l'art. 3 della direttiva 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi, nonché il regolamento (CE) n. 2317/95, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono respingere alla frontiera i cittadini di paesi terzi coniugati con cittadini comunitari, soggetti all'obbligo del visto, che tentino di entrare nel territorio di uno Stato membro senza disporre di un documento d'identità o di un visto, solo se ciò è compatibile con il diritto al rispetto della vita familiare e in particolare con il principio di proporzionalità.

2)    La seconda questione dev'essere risolta dichiarando che l'art. 4 della direttiva 68/360 e l'art. 6 della direttiva 73/148, interpretati alla luce degli artt. 3 delle sopracitate direttive, nonché dell'art. 3 della direttiva 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono rifiutare il documento di soggiorno a cittadini di paesi terzi coniugati con un cittadino comunitario, entrati irregolarmente nel loro territorio, ed adottare nei loro confronti una misura di allontanamento, solo se ciò è compatibile con il diritto al rispetto della vita familiare e in particolare con il principio di proporzionalità.

3)    La terza questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, gli artt. 3 e 6 della direttiva 73/148 e l'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri non possono né rifiutare il documento di soggiorno né allontanare il cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino comunitario, regolarmente entrato nel territorio nazionale, ma il cui visto è scaduto al momento in cui chiede il rilascio di tale documento.

4)    La quarta questione dev'essere risolta come segue: gli artt. 1 e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini comunitari, sprovvisti di documento d'identità, di visto o il cui documento d'identità o di visto sono scaduti, dispongono della facoltà di adire l'autorità competente di cui all'art. 9, n. 1, qualora chiedano il rilascio di un primo permesso di soggiorno o siano oggetto di un provvedimento di allontanamento prima del rilascio di tale permesso, quando dimostrano di fare parte dei soggetti rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 64/221. A tale riguardo, gli Stati membri devono procedere in modo tale da non rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario.


1: -     Lingua originale: il tedesco.


2: -     GU n. 56, pag. 850.


3: -     GU L 257, pag. 13.


4: -     GU L 257, pag. 2.


5: -     GU L 172, pag. 14.


6: -     GU L 234, pag. 1.


7: -     GU L 72, pag. 2.


8: -     Moniteur belge del 31 dicembre 1980.


9: -     Moniteur belge del 1° ottobre 1997.


10: -     V., a tale riguardo, la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo 22 novembre 2000, su una politica comunitaria in materia di immigrazione, COM(2000) 757 def., punto 10 e segg.


11: -     Documento del Consiglio SN 2828/1/93 WGI 1497 REV 1. V. a questo proposito, più specificamente, inter alia, Handoll, Free Movement of Persons in the EU, 1995, pag. 367 e segg.


12: -     COM(2000) 624 def.


13: -     V. la Commissione nella sua proposta di direttiva relativa al diritto al ricongiungimento familiare, COM(1999) 638 def., n. 7.5; Martin, Loi du 15 Décembre 1980, Revue du droit des étrangers, 1996, pag. 722 e segg. (in particolare pag. 725).


14: -     Sentenza 16 dicembre 1992, causa C-206/91, Koua Poirrez (Racc. pag. I-6685, punto 13), relativa alla libera circolazione dei lavoratori.


15: -     Conformemente alla versione tedesca; questa aggiunta non figura in talune versioni linguistiche della direttiva 68/360. Tuttavia essa non riveste rilevanza giuridica.


16: -     A questo proposito, v. supra l'«Ambito normativo».


17: -     Carlier, La circulation des personnes dans l'Union européenne, Journal des tribunaux. Droit européen, 1995, pag. 97 (in particolare pag. 104); Hailbronner, Neuere Entwicklungen im europäischen Ausländerrecht, 1997, pag. 18; Maresceau, La libre circulation des personnes et les ressortissants d'États tiers, in: Demaret (ed.), Relations extérieures de la Communauté européenne et marché intérieur: aspects juridiques et fonctionnels, 1986, pag. 108 (in particolare pag. 111 e segg.).


18: -     Sentenze 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel (Racc. pag. 1753, punto 7), e 18 dicembre 1997, causa C-309/96, Annibaldi (Racc. pag. I-7493, punto 18).


19: -     Sentenze 11 luglio 1985, cause riunite 60/84 e 64/84, Cinéthèque (Racc. pag. 2605, punto 26), e 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 28).


20: -     Sentenza 6 marzo 2001, causa C-274/99 P, Connolly/Commissione (Racc. pag. I-1611, punto 37).


21: -     Ibidem, punto 38.


22: -     Per quanto riguarda l'interpretazione di un regolamento alla luce dell'art. 8 della CEDU, v. sentenza 18 maggio 1989, causa 249/86, Commissione/Germania (Racc. pag. 1263, punto 10); v. anche sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 18), relativa all'interpretazione di una direttiva alla luce dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.


23: -     Riguardo a questo aspetto v. a livello generale De Schutter, Le droit au regroupement familial au croisement des ordres juridiques européens, Revue du droit des étrangers, 1996, pag. 531 (in particolare pag. 546). Quanto all'obbligo negativo, v. Corte eur. D.U., sentenza Ciliz c. Paesi Bassi dell'11 luglio 2000 (§ 62).


24: -     V. Corte eur. D.U., sentenza Marckx c. Belgio, Serie A n. 31, § 31.


25: -    De Schutter (citato alla nota 23), pag. 546.


26: -     Ad esso corrisponde l'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1).


27: -     V. Corte eur. D.U., sentenza Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, Serie A n. 94, § 62.


28: -     V. Corte eur. D.U., sentenza Ahmut e Paesi Bassi del 28 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions, 1996-VI, pag. 2031, § 63.


29: -     Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-446/98, Fazenda Pública (Racc. pag. I-0000, punto 23).


30: -     V., a tale riguardo, Corte eur. D.U., sentenza Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, Serie A n. 94.


31: -     Sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer (Racc. pag. 497, punti 31-33).


32: -     Citata alla nota 31, punti 38-40.


33: -     Sentenza 3 luglio 1980, causa 157/79, Pieck (Racc. pag. 2171, punto 20).


34: -     Sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75, Watson e Belmann (Racc. pag. 1185, punti 21 e 22).


35: -     Sentenza 14 luglio 1977, causa 8/77, Sagulo (Racc. pag. 1495, punto 6).


36: -     Sentenza nella causa 48/75, citata alla nota 31.


37: -     Sentenza nella causa 48/75 (citata alla nota 31), punti 41-42.


38: -     Ibidem.


39: -     Sentenza nella causa 8/77 (citata alla nota 35), punto 6.


40: -     Sentenza 17 giugno 1997, cause riunite C-65/95 e C-111/95, Shingara e Radiom (Racc. pag. I-3343).


41: -     Sentenza 22 maggio 1980, causa 131/79, Santillo (Racc. pag. 1585).


42: -     Sentenza 18 maggio 1982, cause riunite 115/81 e 116/81, Adoui e Cornuaille (Racc. pag. 1665, punto 15).


43: -     Sentenze nelle cause riunite 115/81 e 116/81 (citate alla nota 42, punto 15), e 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi (Racc. pag. I-3763, punto 62).


44: -     V., a tale riguardo, sentenza 11 gennaio 2001, causa C-226/99, Siples (Racc. pag. I-277, punto 17) e la giurisprudenza ivi citata.


45: -     Sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 18).


46: -     Sentenze 22 settembre 1998, causa C-185/97, Coote (Racc. pag. I-5199, punto 20), e 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall (Racc. pag. I-4367, punto 22).


47: -     V. a tale riguardo, sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft Ltd e a. (Racc. pag. I-1727, punto 85), e la giurisprudenza ivi citata, nonché sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 5), e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043, punti 12-16).