Lingua del documento : ECLI:EU:C:2005:375

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 9 giugno 2005 1(1)

Causa C-258/04

Office national de l’emploi (ONEM)

contro

Ioannis Ioannidis

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour du travail di Liegi)

«Libertà di circolazione e libertà di soggiorno – Persone in cerca di occupazione – Indennità di disoccupazione giovanile – Cittadinanza dell’Unione – Discriminazione in base alla cittadinanza»





I –    Introduzione

1.        In Belgio è prevista la concessione di sussidi speciali, denominati «indennità di disoccupazione giovanile», in favore dei giovani di meno di 30 anni che sono in cerca di prima occupazione o che hanno esercitato un’attività salariata per un periodo troppo breve per avere diritto alle indennità di disoccupazione ordinarie. Il sig. Ioannidis si è visto negare la detta indennità speciale con la motivazione che egli non aveva terminato gli studi secondari in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una delle tre comunità del Belgio, non era in possesso di un diploma o certificato di studi relativamente a tale formazione, pur essendo in possesso di un titolo greco omologato, e non risultava essere figlio a carico di lavoratori migranti.

2.        La questione pregiudiziale proposta dalla Cour du travail di Liegi (Belgio) ha per oggetto la conformità con il diritto comunitario della detta esclusione. In precedenza, la Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in merito alle indennità di cui è causa, in relazione a figli di lavoratori migranti e a cittadini belgi che avevano terminato gli studi in un altro Stato membro.

3.        Il caso in esame nel presente procedimento non è che un anello della medesima catena. Come ha scritto Sartre, «Donc recommençons. Cela n’amuse personne… Mais il faut enfoncer le clou» (2). Perciò, dopo aver esaminato la normativa rilevante, gli antefatti e il procedimento, dovremo analizzare la giurisprudenza consolidata per applicarla al caso di specie.

II – Contesto normativo

A –    Diritto comunitario

4.        L’art. 12 CE, primo comma, vieta, nell’ambito di applicazione del Trattato e fatte salve talune eccezioni, «ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

5.        Inoltre, a termini dell’art. 17 CE, nn. 1 e 2:

«1.      E’ istituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.

2.      I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato».

6.        Di seguito, l’art. 18 CE fa discendere dalla detta condizione diverse libertà, e in particolare quella «di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri», fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

7.        Ne discende che il diritto di pari trattamento di cui all’art. 12 CE spetta a tutti i cittadini degli Stati che fanno parte dell’Unione, che, proprio perché sono tali, godono delle libertà di cui all’art. 18 CE.

8.        Esistono peraltro alcune norme che vietano ogni discriminazione fondata sulla nazionalità in materia di circolazione dei lavoratori, come l’art. 39 CE, che così recita:

«1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.

2.      Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

3.      Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

a)      di rispondere a offerte di lavoro effettive;

b)      di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

c)      di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;

d)      di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

(…)»

9.        La mobilità della manodopera è stata una delle prime preoccupazioni della Comunità, ed è stata alla base dei provvedimenti che si sono susseguiti allo scopo di abolire ogni discriminazione in materia di lavoro, salario e condizioni di lavoro, oltre che per facilitare la circolazione dei lavoratori salariati. Preoccupazioni che si riflettono nel regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (3). Ai sensi dell’ art. 7 del detto regolamento:

«1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali

(...)».

B –    Normativa belga

10.      Il regio decreto 25 novembre 1991, recante norme in materia di disoccupazione (4), introduce una serie di indennità in favore dei giovani di meno di 30 anni in cerca di prima occupazione, cui sono equiparati coloro i quali, pur avendo già esercitato un’attività salariata, non hanno totalizzato un numero di giorni di lavoro sufficienti per accedere alle indennità di disoccupazione ordinarie.

11.      L’art. 36, primo comma, elenca i requisiti alternativi che si devono possedere per essere ammessi al beneficio (5):

«(...)

2.      a) o aver terminato studi completi del ciclo secondario superiore o del ciclo secondario inferiore di formazione tecnica o professionale in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una comunità (6);

b) o aver ottenuto dalla competente commissione d’esame di una comunità un diploma o un certificato di studi di cui alla lett. a);

(...)

h) o avere seguito gli studi o una formazione in un altro Stato membro dell’Unione europea, se sono al contempo soddisfatte le seguenti condizioni:

–      il giovane deve produrre una documentazione da cui risulti che gli studi o la formazione sono dello stesso livello ed equivalenti a quelli menzionati alle lettere precedenti;

–      al momento della richiesta di indennità, il giovane deve essere a carico, in qualità di figlio, di lavoratori migranti, tali ai sensi dell’ art. 48 del Trattato CE, residenti in Belgio (7).

(...)».

III – Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

12.      Il sig. Ioannidis, nato il 23 aprile 1976, cittadino greco, nel 1994 fissava la propria residenza in un comune dell’area metropolitana di Liegi. Il 17 ottobre 1994, il Ministro dell’educazione, della ricerca e della formazione della Comunità francese del Belgio dichiarava il diploma di istruzione secondaria ottenuto dall’interessato in Grecia («apolytirion») equivalente al certificato omologato dell’ insegnamento secondario superiore che dà accesso all’insegnamento superiore di tipo breve.

13.      Il 29 giugno 2000, a conclusione di un ciclo triennale di formazione, l’interessato conseguiva un diploma di specializzazione in cinesiterapia presso l’Istituto Superiore della Provincia di Liegi André Vésale.

14.      Il 7 luglio seguente egli s’iscriveva nelle liste delle persone in cerca di occupazione a orario pieno presso l’Ufficio comunitario e regionale della formazione professionale e del lavoro (FOREM).

15.      Dal 10 ottobre 2000 al 29 giugno 2001 egli seguiva, in Francia, una formazione retribuita in rieducazione vestibolare, a termini di un contratto di lavoro presso una associazione professionale di diritto civile costituita da medici specialisti in otorinolaringoiatria.

16.      Di ritorno in Belgio, in data 7 agosto 2001 l’interessato presentava all’Ufficio nazionale del lavoro domanda di attribuzione delle indennità di disoccupazione giovanile. La domanda era respinta con decisione 5 ottobre 2001.

17.      Il Tribunal du travail di Liegi, con sentenza 7 ottobre 2002, accoglieva il ricorso presentato dall’interessato contro la decisione amministrativa negativa.

18.      L’autorità amministrativa ricorreva in appello. La Cour du travail (nona sezione) di Liegi, ritenendo che il sig. Ioannidis non fosse in possesso dei requisiti previsti dalla normativa nazionale per la concessione del sussidio (8), che poteva eventualmente ottenere solo avvalendosi delle norme comunitarie, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto comunitario (e segnatamente gli artt. 12 CE, 17 CE e 18 CE) osti a una normativa di uno Stato membro (quale quella belga di cui al regio decreto 25 novembre 1991, recante norme in materia di disoccupazione), la quale, per la concessione delle indennità di disoccupazione giovanile alle persone in cerca di occupazione di età inferiore, in linea di principio, a 30 anni, sulla base degli studi secondari compiuti, impone ai richiedenti che sono cittadini di un altro Stato membro – in termini identici a quelli previsti per i cittadini nazionali – la condizione che gli studi secondari siano stati terminati in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una delle tre comunità nazionali [come previsto dall’ art. 36, n. 1, primo comma, punto 2, lett. a), dello stesso regio decreto], con la conseguenza che le dette indennità di disoccupazione giovanile vengono negate a un giovane in cerca di occupazione che, non appartenendo alla famiglia di un lavoratore migrante, è egli stesso un cittadino di un altro Stato membro che, prima di circolare liberamente nel territorio dell’Unione, ha terminato nello Stato membro di origine studi secondari riconosciuti come equivalenti agli studi prescritti dalle autorità dello Stato in cui chiede che gli vengano riconosciute le indennità di cui trattasi».

IV – Il procedimento dinanzi alla Corte

19.      Hanno presentato osservazioni scritte, entro il termine di cui all’art. 20 dello statuto CE della Corte, l’Ufficio nazionale del lavoro, il governo italiano, il governo greco e la Commissione.

20.      Conclusasi la fase scritta del procedimento, nella seduta del 26 aprile 2005 si è convenuto di non passare alla trattazione orale se nessuna delle parti del procedimento principale lo avesse sollecitato entro l’apposito termine del 28 aprile seguente. Poiché non vi è stata alcuna manifestazione d’interesse per una trattazione orale della causa, si può procedere alla redazione delle presenti conclusioni.

V –    Analisi della questione pregiudiziale

21.      Per risolvere la questione, va richiamata la giurisprudenza consolidata della Corte, sufficientemente chiara da consentire di dissipare i dubbi formulati dal giudice a quo.

A –    Giurisprudenza rilevante

22.      Come già anticipato, la Corte si è pronunciata più volte sulle indennità di disoccupazione giovanile belghe. Assumono qui particolare rilevanza le sentenze Deak, Commissione/Belgio e D’Hoop (9). Di recente, in relazione a un regime britannico di sussidi in favore delle persone in cerca di occupazione, è intervenuta la sentenza Collins, che fornisce argomenti assai significativi per il caso in esame. Occorre quindi esaminare in dettaglio le sentenze summenzionate, che contengono la chiave per la soluzione della questione posta dal giudice a quo; tanto più che, nelle osservazioni presentate, sono state espresse censure in merito alla portata della loro motivazione.

1.      Sentenza 20 giugno 1985, Deak (10)

23.      Pronuncia pregiudiziale, promossa dalla Cour du travail di Liegi, nell’ambito di un procedimento che opponeva il sig. Deak, giovane ungherese di madre italiana, a sua volta lavoratrice migrante, residente in Belgio, e l’Ufficio nazionale del lavoro, che gli aveva negato la prestazione con la motivazione che non era cittadino comunitario.

24.      La Corte di giustizia ha precisato quanto segue: innanzitutto, il rifiuto non violava il regolamento n. 1408/71 (11), sul quale verteva la questione pregiudiziale, in quanto la prestazione in discussione costituiva un vantaggio sociale ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, che comprende tutti quei vantaggi che, connessi o meno ad un rapporto di lavoro, sono generalmente conferiti ai lavoratori del paese in quanto tali obiettivamente o per il solo fatto di risiedere sul territorio nazionale; in secondo luogo, il principio della parità di trattamento nella fruizione dei vantaggi sociali vieta le discriminazioni a danno dei figli a carico del lavoratore; e, infine, la concessione o il rifiuto di detto vantaggio ai giovani in cerca di prima occupazione, figli di lavoratori migranti comunitari, non possono venire influenzati dalla cittadinanza degli interessati.

2.      Sentenza 12 settembre 1996, Commissione/Belgio (12)

25.      In questo caso la Commissione sosteneva che il Regno del Belgio aveva violato l’art. 39 CE e gli artt. 3 e 7 del regolamento n. 1612/68, in primo luogo, poiché aveva mantenuto in vigore l’art. 36 del regio decreto 25 novembre 1991, che subordinava la concessione dell’indennità di disoccupazione giovanile al fatto che i giovani in cerca di prima occupazione avessero terminato gli studi secondari in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto dallo Stato belga o da una delle sue comunità; e, in secondo luogo, poiché spingeva nel contempo i datori di lavoro ad offrire un lavoro ai beneficiari del sussidio, ponendo a carico dello Stato le retribuzioni e gli oneri sociali corrispondenti, nell’ambito dei programmi speciali per la riduzione della disoccupazione.

26.      Nelle mie conclusioni relative al procedimento menzionato ho analizzato entrambe le questioni. Per il caso del sig. Ioannidis rileva però solo la prima di esse: ho ricordato che la sentenza Deak ha confermato che l’indennità in questione costituisce un sussidio ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (parr. 22‑30); ho sottolineato che l’eventuale discriminazione a motivo della nazionalità non era palese, in quanto la designazione degli interessati si operava assumendo come parametro un fattore che, astrattamente, appariva estraneo alla cittadinanza (par. 31), anche se indirettamente i lavoratori migranti e i loro figli potevano apparire più discriminati dei lavoratori nazionali (par. 32), in quanto l’obbligo di terminare gli studi in Belgio implica un obbligo di residenza previa, e favorisce i giovani del paese, che soddisfano tutti i requisiti più facilmente (parr. 33‑43); ho sostenuto che «l’effetto dissuasivo esercitato sui figli si ripercuote logicamente sui genitori (…) privati di uno dei vantaggi sociali normalmente concessi alle famiglie belghe a favore dei figli. I lavoratori i cui figli hanno compiuto studi secondari nel loro paese d’origine e siano alla ricerca di un impiego, avranno maggiori difficoltà a trasferirsi in uno Stato membro che non riconosca ai loro figli quello che invece concede ai figli dei propri cittadini: un’indennità di disoccupazione giovanile che, per di più, implica un privilegio nell’accesso a taluni impieghi» (par. 44). Ho pertanto proposto alla Corte di dichiarare che la violazione del diritto comunitario sussisteva.

27.      La Corte di giustizia ha fatto sua questa tesi, e ha confermato che l’indennità di disoccupazione giovanile costituiva un vantaggio sociale disciplinato dal regolamento n. 1612/68, anche qualora i giovani «a carico dei lavoratori migranti residenti in Belgio (avessero) terminato i loro studi non in Belgio, ma nei loro paesi d’origine, o persino in un altro Stato membro» (punti 25 e 26); dopo aver richiamato la propria giurisprudenza in materia di divieto delle discriminazioni, sottolineando che «sono (…) vietate in particolare le condizioni indistintamente applicabili che possono essere soddisfatte più facilmente dai lavoratori nazionali che dai lavoratori migranti» (punti 27 e 28), la Corte ha dichiarato che il requisito controverso, il quale si manifesta come «un requisito di residenza previa», favoriva i cittadini belgi nonostante si applicasse anche ai cittadini belgi che non terminavano gli studi secondari nel loro paese (punti 29 e 30) – questione che avrebbe poi fatto oggetto della sentenza D’Hoop –. Di modo che, sotto questo aspetto, la violazione contestata dalla Commissione risultava comprovata.

28.      La Corte ha però respinto il ricorso nella parte in cui verteva sull’accesso ai programmi speciali di collocamento o di ricollocamento professionale in quanto, tenuto conto delle loro peculiarità, del loro legame con la disoccupazione, e del fatto che eccedevano l’ambito dell’ accesso all’ impiego vero e proprio (punto 39), le norme comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori presuppongono che la persona che le invochi abbia già acceduto al mercato del lavoro mediante l’ esercizio di un’ attività professionale reale e effettiva, che gli abbia conferito la qualità di lavoratore ai sensi del diritto comunitario, il che non si verifica nel caso dei giovani in cerca di prima occupazione (punto 40).

29.      Al fine di adeguare il diritto nazionale alla sentenza della Corte, il Regno del Belgio ha promulgato il regio decreto 13 dicembre 1996, recante modifiche al regio decreto 25 novembre 1991, aggiungendo all’art. 36 la lett. h), già cit., a termini della quale il diritto ai sussidi è riconosciuto anche ai figli dei lavoratori migranti.

3.      Sentenza 11 luglio 2002, D’Hoop (13)

30.      Situazione diversa dal caso sopra esposto, in questo caso l’interessata, cittadina belga, aveva terminato gli studi secondari in Francia, conseguendo un diploma che era stato poi riconosciuto dal Belgio come equivalente al certificato omologato dell’insegnamento secondario superiore che dà accesso all’insegnamento superiore. Dopo aver compiuto studi universitari in quest’ultimo paese, l’interessata chiedeva l’indennità di disoccupazione giovanile, che le veniva negata in quanto non sussistevano i presupposti di cui all’art. 36 del regio decreto 25 novembre 1991.

31.      Il Tribunal du travail di Liegi sollevava una questione pregiudiziale sull’applicazione al caso di specie dell’art. 39 CE e dell’art. 7 del regolamento n. 1612/68.

32.      La sentenza della Corte, che ha confermato le conclusioni dell’avvocato generale  (14), si è richiamata a due normative: da un lato, le disposizioni citate e, dall’altro, quelle che disciplinano la nozione di cittadinanza dell’Unione.

33.      In relazione al primo ambito, la sig.ra D’Hoop si vedeva negare la possibilità di invocare i diritti conferiti ai lavoratori migranti o ai membri delle loro famiglie dal Trattato o dal diritto derivato (punto 20), con la motivazione che, affinché le disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione si applichino alle indennità di disoccupazione occorre che la persona che le invochi «abbia già avuto accesso al mercato del lavoro», circostanza che non è verificata nel caso delle persone in cerca di prima occupazione (punto 18); per di più, mentre la richiedente proseguiva gli studi in Francia, i suoi genitori continuavano a risiedere in Belgio (punto 19).

34.      Sul secondo punto, la Corte muoveva dal ragionamento che, poiché ogni cittadino dell’Unione ha diritto a che gli venga riconosciuto in tutti gli Stati membri il medesimo trattamento giuridico accordato ai cittadini di tali Stati membri che si trovino nella medesima situazione, risulterebbe incompatibile con il diritto alla libera circolazione l’applicazione a chiunque, nello Stato membro di origine, di un trattamento meno favorevole di quello applicabile se non si fosse avvalso delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di circolazione (punto 30), considerazione «particolarmente importante nel settore dell’istruzione» (punto 32). Dopo aver rilevato che la normativa belga introduce una differenza di trattamento tra i cittadini belgi che hanno terminato gli studi secondari in Belgio e quelli che, avendo fatto uso della libertà di circolazione, hanno ottenuto il diploma di maturità in un altro Stato membro (punto 33), la Corte ha dichiarato che una disparità di tal genere è «contraria ai principi che sono alla base dello status di cittadino dell’Unione» (punto 35). Ovviamente vi sono delle eccezioni, ma queste possono basarsi soltanto su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dall’ordinamento nazionale (punto 36); in questo senso, dopo aver accertato che i sussidi in esame avevano l’obiettivo di agevolare il passaggio dei giovani dalla scuola al mercato del lavoro, la Corte ammetteva la possibilità «che il legislatore nazionale [volesse] essere sicuro dell’esistenza di un nesso reale tra chi richiede le dette indennità ed il mercato geografico del lavoro» (punto 38). Ciò nonostante, la Corte ha dichiarato che un’unica condizione relativa al luogo di conseguimento del diploma di maturità presenta un carattere troppo generale ed esclusivo. Essa infatti privilegia indebitamente un elemento che non è necessariamente rappresentativo del grado reale ed effettivo di collegamento ed eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (punto 39).

35.      Lo Stato destinatario della sentenza ha nuovamente modificato l’art. 36 del regio decreto 25 novembre 1991, introducendo, con regio decreto 11 febbraio 2003, un nuovo caso di concessione dei sussidi – la lettera j) –, irrilevante per il caso oggi in esame, cui non è applicabile ratione temporis (15).

4.      Sentenza 23 marzo 2004, Collins (16).

36.      Nel corso di una controversia che opponeva il sig. Collins al Secretary of State for Work and Pensions, che aveva negato al richiedente l’indennità di disoccupazione prevista dalla normativa del Regno Unito, il Social Security Commissioner sollevava diverse questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione del regolamento (CEE) n. 1612/68 e della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE (17).

37.      Tralasciando le argomentazioni relative alla direttiva, la sentenza ci interessa in relazione a due ambiti distinti: la nozione di lavoratore ai sensi degli artt. 7 e segg. del regolamento n. 1612/68 e gli effetti della cittadinanza dell’Unione sul caso di specie.

38.      Entrambe le nozioni sono state analizzate nelle conclusioni che ho presentato il 10 luglio 2003.

39.      Nell’esaminare la prima ho sottolineato la differenza tra il titolo I (artt. 1‑6) del regolamento, che produce effetti riguardo a tutti i cittadini di tutti gli Stati membri, e il titolo II (artt. 7‑9), che riguarda esclusivamente chi abbia la qualifica di «lavoratore», vale a dire le persone che forniscono, per un certo periodo di tempo, a favore di terzi e sotto la direzione di questi, determinate prestazioni in contropartita delle quali ricevono una retribuzione (18). Ciò considerato, la parità di trattamento in materia di vantaggi sociali, prevista all’art. 7, n. 2, non si applica, giusta la sentenza Lebon (19), a coloro che si spostano alla ricerca di lavoro (parr. 22 ‑ 35).

40.      Nell’esaminare la seconda ho ricordato che, per giurisprudenza costante, il divieto delle discriminazioni in base alla cittadinanza sancito dall’art. 12 CE è destinato ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche. Analogamente, l’art. 18 CE, che enuncia in via generale il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, trova espressione specifica nell’art. 39 CE con riguardo alla libera circolazione dei lavoratori, di modo che entra in gioco unicamente nei casi di specie non espressamente coperti da quest’ultima norma. E ho spiegato che l’imposizione di una condizione relativa alla residenza, volta a comprovare un radicamento nel paese ospitante e l’esistenza di legami tra il richiedente e il mercato del lavoro di questo paese, può essere giustificata in base all’esigenza di evitare il fenomeno del cosiddetto «turismo sociale», praticato da quelle persone che si spostano da uno Stato all’altro allo scopo di usufruire di prestazioni non contributive e, quindi, al fine di prevenire gli abusi (parr. 55‑76).

41.      Anche in questo caso la Corte ha condiviso la posizione del suo avvocato generale. Essa ha, in primo luogo, operato un distinguo tra cittadini di uno Stato membro che non sono ancora stati titolari di un contratto di lavoro nello Stato membro ospitante, in cui sono in cerca di lavoro, e quelli che invece lavorano o hanno già lavorato in virtù di un contratto di lavoro ora terminato, e continuano ad essere considerati lavoratori; i primi beneficiano del principio della parità di trattamento solo per l’accesso al lavoro (20), mentre i secondi possono «pretendere, in base all’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, gli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali» (punti 30 e 31).

42.      Dopo attento esame degli effetti dell’art. 39 CE sulle disposizioni nazionali (punti 55‑59), la Corte ha ritenuto che, per stabilire la portata del diritto alla parità di trattamento per le persone in cerca di lavoro, tale principio va interpretato alla luce di altre disposizioni del diritto comunitario, e in particolare dell’ art. [12 CE] (punto 60).

43.      Sulla base di queste premesse, la Corte ha ritenuto che la normativa britannica, introducendo una differenza di trattamento fondata sul requisito della residenza nel Regno Unito, avvantaggiava i cittadini nazionali in quanto «tale condizione (poteva) essere soddisfatta più facilmente dai cittadini nazionali» (punto 65). Di seguito, per accertare se sussistessero eventuali giustificazioni legittimanti tale disparità di trattamento, la Corte ha richiamato la sentenza D’Hoop, e ha confermato che la condizione di residenza garantisce l’esistenza di un nesso reale fra chi cerca lavoro e il mercato del lavoro dello Stato di cui trattasi, sempre che non vada oltre quanto necessario a conseguire tale obiettivo (punti 67‑72) (21).

B –    Analisi del caso di specie

44.      Per risolvere la questione sollevata dalla Cour du travail di Liegi occorre procedere in tre tappe: esporre il punto di diritto, accertare l’esistenza di una disparità di trattamento e verificare se questa trovi giustificazione.

1.      Diritto comunitario applicabile

a)      Impostazione

45.      Occorre anzitutto individuare le disposizioni di diritto originario applicabili, sia quelle dedicate alla cittadinanza dell’Unione che quelle vigenti in materia di lavoro.

46.      L’art. 17 CE istituisce, nell’intento di disegnare uno status civitatis dei cittadini europei, la «cittadinanza dell’Unione», che spetta a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro (n. 1), che si vede per questo conferire la titolarità dei diritti e dei doveri previsti dal Trattato (n. 2).

47.      Considerato che l’art. 12 CE vieta ogni discriminazione motivata dal legame con un dato paese, va ammesso che questa manifestazione del principio di eguaglianza rientra tra i diritti di tutti i cittadini europei, e ha conosciuto una notevole espansione, avendo ormai per unico limite la condizione che si rilevi un nesso comunitario tra la detta qualità soggettiva e la situazione in esame (22).

48.      Orbene, come ho già illustrato nelle conclusioni relative alla causa Collins, è giurisprudenza costante che il divieto di discriminazione sancito dall’art. 12 CE esplica i suoi effetti nel campo di applicazione del Trattato e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste (23), il che conferma che la detta disposizione tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non discriminazione (24).

49.      Il principio della libera circolazione dei lavoratori e l’abolizione di ogni differenza in base alla cittadinanza che ne discende è stato attuato e concretato, in particolare, dal regolamento (CEE) del Consiglio, n. 1612/68, e dal regolamento (CEE) n. 1408/71 (25), e occorre pertanto esaminare se il loro disposto si applichi anche al caso del sig. Ioannidis.

b)      Non applicabilità del principio di parità di trattamento dei lavoratori

50.      Affinché coloro i quali sollecitano la concessione di una prestazione per disoccupazione disciplinata da un diritto nazionale possano avvalersi delle norme relative alla libera circolazione è necessario, a tenore della sentenza Commissione/Belgio, avere già avuto accesso al mercato del lavoro. A termini della sentenza Collins, che cita diversi precedenti, la nozione di «lavoratore», nell’accezione dell’art. 39 CE e del regolamento (CEE) n. 1612/68, riveste una portata comunitaria e non deve essere interpretata in modo restrittivo.

51.      Va aggiunto che la Corte di giustizia ha più volte dichiarato che la natura giuridica sui generis del rapporto di lavoro, la produttività dell’interessato o l’origine delle risorse per la retribuzione o ancora la modesta entità di quest’ultima non «possono avere alcuna incidenza sulla qualità di lavoratore» (26), che permane anche quando l’interessato abbia fornito attività reali ed effettive, per conto terzi, nell’ambito di una formazione professionale, in cambio di una retribuzione (27), come avviene nel caso del contratto sottoscritto dall’interessato in Francia (28), paese nel quale, di conseguenza, egli possiede la detta qualifica.

52.      Per contro, l’interessato non possiede tale qualifica in Belgio, paese al cui mercato del lavoro è ancora estraneo, di modo che non può pretendere, sulla base dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, gli stessi vantaggi – tra i quali figura anche, a seguito della sentenza Deak, l’indennità di disoccupazione giovanile – previsti per i lavoratori nazionali (29), pur essendo già stato occupato in un altro paese (30).

53.      Risulta pertanto dissipato uno dei dubbi espressi dal giudice a quo, nel senso che va negata l’applicazione delle disposizioni menzionate in materia di parità di trattamento dei lavoratori a coloro i quali sono in cerca di occupazione, e assume pieno vigore il divieto di discriminazione di cui all’art. 12 CE in combinato coll’art. 17 CE.

2.      Sussistenza di una discriminazione in base alla cittadinanza

54.      Lo status di cittadino dell’Unione è destinato a diventare lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri e consentirà a coloro i quali si trovano nella medesima situazione di ottenere, nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato, indipendentemente dalla loro cittadinanza, e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento (31).

55.      Nel caso di specie, le condizioni per l’accesso alle indennità di disoccupazione giovanile sono formulate, prima facie, in modo obiettivo, con riferimento a fattori che, in teoria, non dipendono da un collegamento con un dato paese.

56.      Tuttavia, l’esigenza di aver terminato gli studi in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una delle comunità belghe (art. 36, primo comma, n. 2, lett. a), del regio decreto 25 novembre 1991) o di aver ottenuto un diploma o un certificato di studi per tali studi (n. 2, lett. b), comporta un obbligo di residenza che può essere soddisfatto più facilmente dai cittadini nazionali (32).

57.      Menzione a parte merita l’alternativa di cui al n. 2, lett. h), introdotta a seguito della sentenza Commissione/Belgio dove, pur ammettendosi la scolarizzazione in un altro Stato membro, si esige che gli studi seguiti siano omologabili e che, nel contempo, il richiedente sia figlio a carico di lavoratori migranti.

58.      In nessuna delle alternative menzionate si contempla l’eventualità che il richiedente il beneficio, pur non essendo un lavoratore, né figlio di lavoratori occupati nel paese, abbia studiato in un altro Stato membro e ottenuto un certificato di equivalenza degli studi compiuti con il titolo belga che dà diritto al sussidio.

59.      Si osserva dunque una disparità di trattamento a danno di chi, come il sig. Ioannidis, si trova nella situazione descritta e risulta privato dei sussidi che potrebbero aiutarlo ad accedere al mercato del lavoro, per il fatto di avere terminato gli studi secondari in un altro paese comunitario.

60.      Avendo rilevato la detta disparità di trattamento, occorre accertare se essa risulti giustificata.

3.      Giustificazione della disparità di trattamento

61.      Come ho già avuto modo di sottolineare, le indennità belghe di disoccupazione giovanile sono intese a aiutare i giovani nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro e risulta legittimo l’intento del legislatore di assicurarsi dell’esistenza di un nesso reale con il mercato del lavoro nazionale, difficilmente verificabile mediante la previsione di un’unica condizione attinente al luogo in cui sono stati terminati gli studi o è stato conseguito il relativo diploma, come prevede l’art. 36, primo comma, n. 2, lett. a) e b), del regio decreto 25 novembre 1991; il detto requisito, oltre a presentare un carattere eccessivamente generale ed esclusivo, non rispecchia il grado reale ed effettivo della relazione, come ha messo in guardia la sentenza D’Hoop, la cui dottrina è pienamente applicabile al caso di specie, anche se in questo caso a trovarsi svantaggiato non è un cittadino belga, e la nazionalità del richiedente è irrilevante, giacchè in caso contrario saremmo di fronte ad un caso di discriminazione diretta.

62.      D’altro canto, neanche l’opzione introdotta con la lett. h) del medesimo articolo giustifica una siffatta disparità di trattamento. Il riconoscimento della validità degli studi compiuti in qualunque altro Stato membro impedisce che si possa censurare il disposto delle lett. a) e b), ma la condizione cumulativa di essere figlio a carico di lavoratori migranti residenti in Belgio comporta una condizione soggettiva e di residenza molto restrittiva, in quanto non comprende il caso dei cittadini dell’Unione europea che sono essi stessi persone in cerca di prima occupazione. Questo ostacolo eccede la misura necessaria a garantire l’esistenza di un nesso reale tra colui che richiede il sussidio e il mercato del lavoro cui intende accedere.

63.      Pertanto, il fatto che la normativa belga non contempli situazioni come quella del sig. Ioannidis comporta una disparità di trattamento che è in contrasto con l’ordinamento giuridico dell’Unione.

VI – Conclusioni

64.      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottopostale dalla Cour du travail di Liegi (Belgio) dichiarando che:

«Il diritto comunitario, e in particolare l’art. 12, n.1, CE, osta ad una normativa nazionale che consente di negare l’indennità di disoccupazione giovanile a un cittadino di un altro Stato membro, in cerca di prima occupazione, con la motivazione che egli ha terminato gli studi nel suo paese di origine e non è figlio a carico di un lavoratore migrante».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – V. de Luby, M., Journal du droit international, 1997, n. 2, pag. 542, nel commento alla sentenza Commissione/Belgio, cit. nel seguito.


3 – GU L 257, pag. 2; EE 05/01, pag. 77.


4 – Moniteur belge del 31 dicembre 1991, pag. 29888.


5 – Cito soltanto quelli rilevanti per il caso di specie.


6 –      Il testo della lett. a) è stato modificato con regio decreto 11 febbraio 2003 (Moniteur belge 19 febbraio 2003, pag. 8026) limitatamente al riferimento all’istruzione tecnica e professionale.


7 –      La versione della lett. h) è quella di cui al regio decreto 13 dicembre 1996 (Moniteur belge 31 dicembre 1996, pag. 32265), modificata a seguito della sentenza Commissione/Belgio, che commenterò dettagliatamente nel seguito. Il regio decreto 11 febbraio 2003, cit. alla nota precedente, ha provveduto a sostituire all’espressione «membro della Unione Europea» l’espressione «membro dello Spazio Economico Europeo», e ha aggiunto due nuove lettere, così formulate: «i) aver conseguito presso un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una comunità, un certificato di fine studi del ciclo secondario superiore o del ciclo secondario inferiore di formazione tecnica, artistica o professionale»; «j) essere in possesso di un titolo, rilasciato da una comunità, equiparato al certificato di cui alla lett. b) oppure di un titolo che dà accesso all’insegnamento superiore; la presente lettera si applica solo nel caso in cui si siano compiuti almeno sei anni di studio in un istituto scolastico organizzato, riconosciuto o sovvenzionato da una comunità»; queste ultime modifiche non hanno alcuna rilevanza per il caso in esame, che si è presentato prima dell’entrata in vigore del nuovo testo.


8 – Secondo quanto risulta dall’ordinanza di rinvio, l’interessato non ha terminato gli studi secondari superiori in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una delle comunità belghe [art. 36, primo comma, n. 2, lett. a), del regio decreto 25 novembre 1991]; non ha ottenuto dall’autorità competente il diploma o certificato corrispondente ai detti studi [lett. b)]; e, infine, e nonostante gli sia stata riconosciuta l’equivalenza degli studi portati a termine in Grecia (lett. h, primo trattino), non ha dimostrato la condizione di lavoratori migranti dei genitori (lett. h).


9 – In precedenza, nella sentenza 1 dicembre 1977, Kuyken (causa 66/77, Racc. pag. 2311), era stata esaminata la disciplina di tali prestazioni che risultava dall’art. 124 del regio decreto 20 dicembre 1963, predecessore dell’art. 36 del regio decreto 25 novembre 1991 –sulle ripercussioni e gli effetti in dottrina della sentenza Deak, v. paragrafi 46-59 delle mie conclusioni nella causa Commissione/Belgio–, mentre nella sentenza 31 gennaio 1991, Kziber (causa C‑18/90, Racc. pag. I‑199), si era esaminato il diniego delle prestazioni a una cittadina marocchina che viveva col padre, della medesima cittadinanza, rimasto in Belgio come pensionato dopo avervi lavorato per anni come salariato.


10 – Causa 94/84, Racc. pag. 1873.


11 – Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2; EE 05/01, pag. 98).


12 – Causa C‑278/94, Racc. pag. I‑4307.


13 – Causa C‑224/98, Racc. pag. I‑6191. V. Anche Iliopoulo, A., e Toner, H., «A new approach to discrimination against free movers? D’Hoop v. Office National de l’Emploi», European Law Review, 2003, pag. 389 e segg.


14 – Presentate dall’avv. gen. Geelhoed il 21 febbraio 2002.


15 – V. nota 7 delle presenti conclusioni.


16 – Causa C‑138/02, (Racc. pag. I‑0000).


17 – Relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 13; EE 05/01, pag. 88).


18 – La medesima nozione di rapporto di lavoro si ritrova nelle sentenze 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, (Racc. pag. 2121, punti 16 e 17), 12 maggio 1998, causa C‑85/96, Martínez Sala, (Racc. pag. I‑2691, punto 32) e 6 novembre 2003, causa C‑413/01, Ninni-Orasche (Racc. pag. I‑13187, punto 34).


19 – Sentenza 18 giugno 1987, causa 316/85, (Racc. pag. 2811).


20 – L’art. 5 del regolamento n. 1612/68 costituisce una manifestazione concreta di tale principio, posto che riconosce il diritto a ricevere la medesima assistenza da parte degli uffici di collocamento.


21 – V. in tal senso sentenze 15 gennaio 1998, causa C‑15/96, Schöning-Kougebetopoulou (Racc. pag. I‑47, punto 21) e 24 novembre 1998, causa C‑274/96, Bickel e Franz, (Racc. pag. I‑7637, punto 27). Nella sentenza 17 settembre 2002, causa C‑413/99, Coniugi Baumbast e R. (Racc. pag. I‑7091), si precisa che l’esercizio del diritto di soggiorno garantito dall’art. 18 CE ai cittadini dell’Unione «può essere subordinato ai legittimi interessi degli Stati membri» (punto 90), ma che «tuttavia, l'applicazione di tali limitazioni e condizioni dev'essere operata nel rispetto dei limiti imposti a tal riguardo dal diritto comunitario e in conformità ai principi generali del medesimo, in particolare al principio di proporzionalità. Ciò significa che i provvedimenti nazionali adottati a tal fine devono essere appropriati e necessari per l'attuazione dello scopo perseguito» (punto 91).


22 – Requejo Isidro, M., «Estrategias para la “comunitarización”: descubriendo el potencial de la ciudadanía europea», La Ley, 2003, n. 5903, pag. 1 e segg. Come illustrano le sentenze Martínez Sala, cit., punto 63, 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I‑6193, punto 32) e 15 marzo 2005, C‑209/03, Bidar, (Racc. pag. I‑0000, punto 32), un cittadino dell'Unione europea che risiede legalmente nel territorio dello Stato membro ospitante può avvalersi dell'art. 12 del Trattato «in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione ratione materiae del diritto comunitario».


23 – Sentenza 15 gennaio 2002, causa C‑55/00, Gottardo, (Racc. pag. I‑413, punto 21).


24 – Sentenze 29 febbraio 1996, causa C‑193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos (Racc. pag. I‑929, punto 20), 25 giugno 1997, causa C‑131/96, Mora Romero, (Racc. pag. I‑3659, punto 10) e 26 novembre 2002, causa C‑100/01, Oteiza Olazábal, (Racc. pag. I‑10981, punto 25).


25 – Sentenze 28 giugno 1978, causa 1/78, Kenny, (Racc. pag. 1489, punto 9) e 12 maggio 1998, causa C‑336/96, Gilly (Racc. pag. I‑2793, punto 38).


26 – Sentenze 21 giugno 1988, causa 197/86, Brown (Racc. pag. 3205, punto 21), 31 maggio 1989, causa 344/87, Bettray, (Racc. pag. 1621, punti 15 e 16), 26 febbraio 1992, causa C‑357/89, Raulin, (Racc. pag. I‑1027, punto 10) e causa C‑ 3/90, Bernini (Racc. pag. I‑1071, punti 14-17), e 19 novembre 2002, causa C‑188/00, Kurz, (Racc. pag. I‑10691, punto 32).


27 – Sentenze Lawrie-Blum, cit., punti 19-21, Bernini, cit., punti 15 e 16, e Kurz, cit., punti 33 e 34.


28 – I pochi dati forniti in proposito non consentono, come ha rilevato la Commissione nelle osservazioni scritte, di estendere l’ambito dell’analisi della questione pregiudiziale a temi quali, ad esempio, l’impiego di cui al regolamento n. 1408/71.


29 – Sentenza Lebon, cit., punto 26, Commissione/Belgio, cit., punti 39 e 40, e Collins, cit., punti 31 e 58.


30 – Va ricordato che, come ha cura di avvertire il giudice del lavoro a quo, i detti sussidi sono destinati ai giovani in cerca di prima occupazione e a coloro i quali, dopo la fine degli studi, hanno svolto un’attività salariata per un periodo troppo breve per maturare il diritto alle indennità di disoccupazione ordinarie.


31 – Sentenze 2 ottobre 2003, C‑142/02, García Avello, (Racc. pag. I‑11613, punti 22 e 23), Grzelczyk, cit., D’Hoop, cit., punto 28, Collins, cit., punto 61 e Bidar, cit., punto 31.


32 – Tra le altre, sentenze 23 maggio 1996, causa C‑237/94, O’Flynn, (Racc. pag. I‑2617, punto 18), 16 gennaio 2003, causa C‑388/01, Commissione/Italia, (Racc. pag. I‑721, punti 13 e 14) e Collins, cit., punto 65.