Lingua del documento : ECLI:EU:C:2002:718

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

CHRISTINE STIX-HACKL

presentate il 28 novembre 2002 (1)

Causa C-186/01

Alexander Dory

contro

Repubblica federale di Germania

(Kreiswehrersatzamt Schwäbisch Gmünd)

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Stuttgart)

«Obbligo di leva - Parità di trattamento tra uomini e donne»

I - Considerazioni introduttive

1.
    In Germania esiste un obbligo generale di leva solo per gli uomini. Oggetto del presente procedimento è la sua compatibilità con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (2) (in prosieguo: la «direttiva 76/207»), e con varie disposizioni del Trattato CE.

II - Contesto normativo

A - Direttiva 76/207

2.
    L'art. 1, n. 1, così dispone:

«Scopo della presente direttiva è l'attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l'accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».

3.
    L'art. 2, n. 1, prevede quanto segue:

«Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia».

4.
    L'art. 3, n. 1, così recita:

«L'applicazione del principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le condizioni di accesso, compresi i criteri di selezione, agli impieghi o posti di lavoro qualunque sia il settore o il ramo di attività, e a tutti i livelli della gerarchia professionale».

B - Diritto nazionale

5.
    Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania; in prosieguo: il «GG») (3)

L'art. 12 a, nn. 1 e 4, prevede quanto segue:

«1. Gli uomini a partire dai diciotto anni compiuti possono essere obbligati a prestare servizio nelle forze armate, nella polizia confinaria federale o in un'organizzazione di protezione civile».

(...)

«4. Se, nel caso di proclamazione dello stato di difesa, il fabbisogno di prestazioni di servizi civili nei settori sanitari e medici e nell'organizzazione ospedaliera militare stabile non viene interamente ricoperto su base volontaria, le donne, fra i diciotto e i cinquantacinque anni compiuti, possono essere assegnate alle anzidette prestazioni di servizi da una legge o sulla base d'una legge. Esse non debbono in alcun caso prestare servizi armati».

6.
    Wehrpflichtgesetz (legge sull'obbligo di leva; in prosieguo: il «WPflG») (4)

L'art. 1, n. 1, dispone, per estratto, quanto segue:

«Sono obbligati al servizio di leva tutti gli uomini che abbiano compiuto i diciotto anni e che siano cittadini tedeschi ai sensi del Grundgesetz (...)».

L'art. 3, n. 1, dispone, per estratto, quanto segue:

«L'obbligo di leva viene assolto con il servizio militare o nel caso di cui all'art. 1 della legge sul rifiuto del servizio di guerra (...) con il servizio civile (...)».

III - Fatti e principali argomenti nel procedimento principale

7.
    Il sig. Dory, attore nel procedimento principale, che si trova in età soggetta all'obbligo di leva, faceva istanza presso il Kreiswehrersatzamt (ufficio distrettuale di leva) competente per la sua chiamata alle armi di essere esonerato dall'obbligo di leva. Egli motivava sostenendo che il WPflG contrastava con il diritto comunitario. Al riguardo egli richiamava la sentenza della Corte nella causa Kreil (5). L'istanza veniva respinta con la motivazione che la citata sentenza si riferisce solo al servizio facoltativo delle donne nell'esercito, non invece all'obbligo di leva. Questioni relative alla difesa nazionale, come l'obbligo di leva, sarebbero sottratte al diritto comunitario. Dopo avere infruttuosamemte proposto ricorso contro tale decisione dinanzi all'autorità competente, il sig. Dory ha adito il giudice del rinvio. La convenuta nel procedimento principale è la Repubblica federale di Germania.

8.
    Nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio il sig. Dory invocava nuovamente la sentenza nella causa Kreil. A suo parere, dopo questa sentenza non vi sarebbero più ragioni obiettive che possano giustificare un'esclusione delle donne dall'obbligo di leva per motivi attinenti al sesso. L'obbligo di leva solo per gli uomini disciplinato all'art. 12a, n. 1, del GG rappresenterebbe un'inammissibile discriminazione degli uomini, perché le donne, pur avendo il diritto di prestare il servizio armato, non sarebbero tuttavia tenute a prestare il servizio militare.

9.
    La Repubblica federale di Germania deduceva invece in particolare che il GG contiene il «compito costituzionale della difesa armata della pace dello Stato», concretizzato con l'introduzione dell'obbligo di leva per gli uomini. Esso sarebbe parte del «potere di organizzazione delle forze armate», il quale non avrebbe alcun collegamento con il diritto comunitario.

10.
    La Repubblica federale di Germania deduceva inoltre, tra l'altro, che gli articoli sulla parità della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea obbligherebbero solo gli organi e le istituzioni dell'UE e che essi varrebbero per gli Stati membri solo in fase di attuazione del diritto comunitario. La direttiva 76/207 non troverebbe applicazione poiché essa riguarda solo attività lavorative. L'obbligo di leva sarebbe però un obbligo di servizio e pertanto sarebbe da distinguere dall'accesso alla professione di militare.

11.
    Il giudice del rinvio solleva dubbi in merito alla correttezza del punto di vista della Repubblica federale di Germania. Esso motiva rilevando che l'obbligo di leva in ogni caso comporta un ritardo nell'accesso degli uomini al lavoro o alla formazione professionale. Richiamando la sentenza della Corte nella causa Schnorbus (6), il giudice del rinvio ritiene possibile che in tale modo sussista una discriminazione rientrante nel campo di applicazione della direttiva 76/207. Facendo riferimento all'art. 2, n. 4, della direttiva 76/207, secondo cui nell'interesse dell'effettiva parità dei sessi sarebbe permessa una «discriminazione positiva», il giudice ritiene che l'obbligo di leva solo per gli uomini possa essere giustificato. Al riguardo esso richiama «il dato, statisticamente confermato, che le donne tedesche partoriscono in media 1,3 figli nel corso della loro vita, [il che] conduce ad un periodo di assenza professionale medio superiore alla durata del servizio militare».

IV - Questione pregiudiziale e prosieguo del procedimento

12.
    Con ordinanza 4 aprile 2001 il Verwaltungsgericht Stuttgart (Tribunale amministrativo di Stoccarda) ha proposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il servizio militare tedesco obbligatorio per i soli uomini sia contrario al diritto comunitario».

13.
    Il 26 settembre 2001 il sig. Dory riceveva una cartolina precetto che l'obbligava a iniziare il servizio militare tra il 1° e il 5 novembre 2001.

14.
    Con lettera 28 settembre 2001 il sig. Dory presentava dinanzi al giudice del rinvio un'istanza volta ad ottenere che l'opposizione contro la cartolina precetto avesse effetto sospensivo e nello stesso giorno dinanzi alla Corte un'istanza volta ad ottenere l'emissione di un provvedimento provvisorio contro la Repubblica federale di Germania. Contenuto del provvedimento provvisorio doveva essere la sospensione dell'esecuzione della cartolina precetto fino alla decisione della Corte nella causa di cui trattasi. Con ordinanza 19 ottobre 2001 è stata accolta l'istanza dal giudice del rinvio. L'istanza alla Corte è stata dichiarata irricevibile con ordinanza 24 ottobre 2001 (causa C-186/01 R).

V - Sulla questione pregiudiziale

A - Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale

15.
    Il giudice del rinvio pone la questione della compatibilità dell'obbligo di leva tedesco, cioè del diritto tedesco, con il «diritto comunitario».

16.
    Affinché la Corte possa fornire al giudice del rinvio una risposta utile nel procedimento principale, occorre riformulare la questione pregiudiziale.

17.
    Nell'ambito dell'art. 234 CE la Corte non può pronunciarsi sull'interpretazione di disposizioni di legge o di regolamento nazionali, né sulla compatibilità delle stesse con il diritto comunitario. Essa può invece fornire al giudice del rinvio indicazioni sull'interpretazione del diritto comunitario, che consentano al giudice nazionale di risolvere la questione giuridica che gli è stata sottoposta (7).

18.
    «Infine, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta alla Corte, di fronte a questioni formulate in modo impreciso, trarre dal complesso dei dati forniti dal giudice nazionale e dal fascicolo della causa a qua i punti di diritto comunitario che vanno interpretati, tenuto conto dell'oggetto della lite» (8).

19.
    Dai dati contenuti nell'ordinanza di rinvio si ricava che il giudice nazionale propone la questione esclusivamente con riguardo al diritto comunitario relativo alla parità di trattamento tra uomini e donne (9).

20.
    E' quindi opportuno riformulare la questione pregiudiziale come segue:

Se l'art. 3, n. 2, CE, l'art. 13 CE e l'art. 141 CE nonché la direttiva 76/207 siano da interpretare nel senso che ostano ad una normativa nazionale, come l'obbligo di leva tedesco, che vale solo per gli uomini.

B - Principali argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

21.
    Il sig. Dory non ha presentato osservazioni nella fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte. All'udienza egli ha anzitutto contestato che l'obbligo di leva in generale sia escluso dal campo di applicazione del diritto comunitario in quanto provvedimento volto a garantire la sicurezza esterna. Esso sarebbe (anche) un provvedimento che incide sulla libertà di esercitare un'attività professionale. Questa sarebbe disciplinata dal diritto comunitario nella forma della direttiva 76/207.

22.
    Il sig. Dory è del parere che l'obbligo di leva solo per gli uomini sia incompatibile con la direttiva 76/207. Dal suo art. 1 risulta che questa direttiva sarebbe applicabile ai provvedimenti nazionali relativi all'accesso al lavoro. Il sig. Dory sarebbe interessato al suo accesso al lavoro in ambito civile in genere. Per risolvere la questione pregiudiziale non sarebbe dunque rilevante sapere se il servizio militare in sé possa valere come «lavoro» ai sensi della direttiva 76/207.

23.
    Durante la prestazione del servizio militare sussisterebbe per gli uomini un divieto assoluto di lavorare. Dopo l'assolvimento del servizio militare, inoltre, l'accesso al lavoro avverrebbe sempre solo con ritardo. Benché attualmente il servizio militare duri solo nove mesi, sarebbe evidente il suo effetto sull'accesso al lavoro, se si ipotizzasse che uno Stato membro per legge progettasse di ammettere le donne (ad esempio per ragioni di politica demografica) alla formazione professionale solo a partire dal 25° anno. Nel caso dell'obbligo di leva non si mirava certo ad incidere sull'accesso al lavoro per gli uomini, tuttavia esso produrrebbe al riguardo conseguenze dirette e quindi sarebbe «orientato al lavoro». Per di più i datori di lavoro indietreggerebbero rispetto alla possibilità di assumere uomini di questa età, perché vanno incontro al rischio di un'assenza a causa dell'obbligo di leva.

24.
    Contro l'argomento che l'obbligo di leva solo per gli uomini abbia finalità diverse dalla disciplina dell'accesso al mercato del lavoro, il sig. Dory invoca la sentenza nella causa Marshall (10). In tale caso si trattava di una cessazione automatica di rapporti di lavoro al raggiungimento dell'età per la pensione, che era diversa tra uomini e donne. La Corte ha affermato l'applicabilità della direttiva 76/207, benché la normativa nazionale fosse motivata da ragioni di previdenza sociale.

25.
    Dopo il Trattato di Amsterdam il diritto primario contiene inoltre, nell'art. 3, n. 2, CE, un obbligo generale di parità tra uomini e donne. La direttiva 76/207 allora non potrebbe più essere intesa nel senso che essa sarebbe applicabile solo qualora un provvedimento nazionale riguardasse direttamente un accesso al lavoro sulla base del sesso.

26.
    Il governo tedesco richiama il significato del generale obbligo di leva in Germania. Esso dovrebbe dare vita ad uno stretto contatto tra le forze armate e la popolazione, tramite il quale dovrebbe essere garantita la trasparenza democratica dell'apparato militare. L'obbligo generale di leva sarebbe inoltre il nucleo della difesa nazionale in Germania: l'aumento degli effettivi dai tempi di pace al caso di necessità di difesa non sarebbe raggiungibile senza un corrispondente numero di riservisti che sarebbero ricavati dalla cerchia degli obbligati alla leva.

27.
    Modalità e organizzazione dell'obbligo di leva farebbero parte dell'organizzazione delle forze armate, che, come componente essenziale della pubblica sicurezza, sarebbe rimasta di competenza degli Stati membri. Questa posizione sarebbe stata riconosciuta dalla Corte nelle sentenze Kreil e Sirdar (11).

28.
    Come risulta dall'art. 5, n. 1, CE e dall'art. 7, n. 1, secondo comma, CE, quanto al rapporto tra competenze comunitarie e competenze nazionali vale il principio che la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite. L'organizzazione della difesa nazionale in quanto tale non rientra nelle competenze della Comunità.

29.
    Tuttavia la limitazione dell'obbligo di leva agli uomini non sarebbe ricompresa nel diritto comunitario neanche con riguardo alle sue conseguenze indirette sull'accesso al lavoro.

30.
    L'art. 3, n. 2, CE, secondo cui la Comunità persegue lo scopo di promuovere la parità tra uomini e donne, sarebbe applicabile solo a specifici provvedimenti della Comunità sulla base di altri fondamenti.

31.
    Allo stesso risultato si giunge con riguardo all'art. 13 CE. Questo legittima solo il Consiglio ad adottare provvedimenti per combattere discriminazioni sulla base del sesso «nell'ambito delle competenze [dal Trattato] conferite alla Comunità».

32.
    L'art. 141 CE e la direttiva 76/207 regolerebbero ancora solamente rapporti di lavoro volontariamente stipulati e non varrebbero quindi per un generale obbligo di servizio come l'obbligo di leva, il quale si distinguerebbe chiaramente dalla - sempre liberamente scelta - professione di militare, che sarebbe stata il solo oggetto della sentenza Kreil.

33.
    Inoltre, la direttiva 76/207, che riguarda l'eliminazione di ostacoli all'accesso al lavoro e alla formazione professionale, non sarebbe pertinente nel caso di specie. La paga riconosciuta agli obbligati alla leva non sarebbe un compenso dell'attività lavorativa, con cui possa essere garantito il proprio sostentamento, già sulla base del suo modesto importo. Una «certa superficiale somiglianza» tra un rapporto di servizio degli obbligati alla leva e un rapporto di lavoro non sarebbe sufficiente a giustificare l'applicabilità della direttiva.

34.
    La peculiarità dell'obbligo di leva come obbligo del cittadino sarebbe decisiva a favore del fatto che esso non rappresenta un lavoro ai sensi della direttiva 76/207. Anche il diritto internazionale considererebbe, secondo una consolidata prassi la chiamata alla prestazione del servizio militare come un atto di esercizio di potere statale, il che risulta dimostrato anche dal fatto che gli stranieri, anche di altri Stati membri dell'UE, devono essere esonerati da tale prestazione in ragione del conflitto di lealtà. La peculiarità di questo dovere dei cittadini risulta anche dalla circostanza che l'obbligo di leva è espressamente escluso dal divieto di lavoro obbligatorio ai sensi dell'art. 4, n. 3, lett. b), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In modo letteralmente quasi identico ciò è stato stabilito anche nell'art. 8, n. 3, lett. c), punto ii), del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

35.
    In contrasto con quanto sopra è l'art. 6, n. 1, del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, il quale disciplina il diritto «di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato» senza una limitazione con riguardo all'obbligo di leva. Da ciò si deve ricavare che tale Patto non considera la prestazione del servizio militare come un'attività lavorativa nel significato usuale del termine.

36.
    Il governo tedesco sottolinea tra l'altro che la Corte nella causa Schnorbus (12) avrebbe persino dichiarato che una normativa volta a compensare i ritardi professionali che comporta l'obbligo di leva è compatibile con il diritto comunitario. In tal modo la Corte avrebbe implicitamente riconosciuto la legittimità dell'obbligo di leva solo per gli uomini.

37.
    Il governo francese è dell'avviso che l'assolvimento dell'obbligo di leva non possa essere equiparato all'esercizio di un'attività professionale e conseguentemente non rientrerebbe nel campo di applicazione né delle disposizioni sociali del Trattato CE, né della direttiva 76/207. L'obbligo di leva sarebbe un provvedimento relativo alla difesa nazionale che ricadrebbe nella competenza esclusiva degli Stati membri. La decisione di diritto interno di imporre l'obbligo di leva solo agli uomini non ricadrebbe come tale nel campo di applicazione del diritto comunitario.

38.
    La Corte ha sì deciso nelle sentenze Kreil e Sirdar che decisioni nazionali sull'organizzazione delle forze armate non sono completamente sottratte all'applicazione del diritto comunitario. Tuttavia essa nella sentenza Sirdar ha anche dichiarato che sono soggette al principio di diritto comunitario della parità di trattamento tra uomini e donne solo quelle misure nazionali che riguardano l'accesso al lavoro, la formazione professionale o le condizioni di lavoro nelle forze armate.

39.
    Questa soluzione non sarebbe tuttavia applicabile al caso di specie, poiché il servizio militare obbligatorio sarebbe assolto dagli obbligati alla leva, che non sarebbero paragonabili con i lavoratori ai sensi delle disposizioni del diritto comunitario sulla parità di trattamento tra i sessi. Colui che è obbligato alla leva non svolgerebbe alcuna prestazione a favore di un terzo, da cui riceva una retribuzione come controprestazione, ma adempierebbe un obbligo dei cittadini collegato al pagamento di un indennizzo.

40.
    Inoltre nella sentenza Schnorbus la Corte ha deciso sulla compatibilità con il diritto comunitario di disposizioni che riguardavano non l'obbligo di leva in quanto tale, bensì le sue conseguenze per il potenziale rapporto di lavoro tra candidati ad un tirocinio per le professioni legali e l'amministrazione che offre questo tirocinio. Sarebbe peraltro significativo che la Corte non ha risolto la sesta questione sottopostale in quella causa, che riguardava il carattere discriminatorio della limitazione dell'obbligo di leva agli uomini.

41.
    Il governo finlandese rileva che ai sensi dell'art. 127 della Costituzione finlandese uomini e donne sono obbligati a partecipare alla difesa nazionale. L'obbligo del servizio militare armato sarebbe però previsto dalla legge solo per gli uomini. La prestazione del servizio militare da parte delle donne sarebbe tuttavia possibile su base volontaria.

42.
    Le decisioni fondamentali nell'ambito della politica di difesa ricadono, come ha riconosciuto la Corte nella sentenza Kreil, nella competenza degli Stati membri, pertanto il diritto comunitario non troverebbe applicazione nel procedimento principale.

43.
    L'obbligo di leva non riguarderebbe in ogni caso le condizioni di accesso alla professione di militare e non ricadrebbe dunque nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207. La circostanza che l'obbligo di leva sia limitato agli uomini non comporterebbe peraltro in Finlandia che la carriera delle donne nelle forze armate sia compromessa, poiché le donne possono prestare volontariamente il servizio militare.

44.
    La Commissione fa valere che dall'art. 12 a del GG tedesco e dall'art. 1 del WPflG risulta che l'obbligo di leva, come si è sviluppato nella tradizione di molti Stati europei dalla fine del XVIII secolo, costituisce un obbligo unilaterale di servizio rientrante nel diritto pubblico e non dà origine ad alcun rapporto di lavoro. Colui che è obbligato al servizio di leva esegue - eventualmente anche contro la sua volontà - prestazioni durante le quali lo Stato gli assicura solamente un certo sostegno finanziario, ma non una retribuzione. Il servizio militare non farebbe dunque parte del mercato del lavoro.

45.
    Come la Corte ha deciso nelle sentenze Kreil e Sirdar, il mero fatto che si tratti di questioni militari non è decisivo per escludere l'applicabilità del diritto comunitario. Piuttosto sarebbe determinante se il rapporto di servizio sia sottratto al campo di applicazione del diritto comunitario sulla base della sua finalità e della sua organizzazione.

46.
    Ciò avverrebbe nel caso dell'obbligo di leva. Come la difesa nazionale non è compito della Comunità, così il servizio militare non farebbe parte del mercato del lavoro né costituirebbe una formazione in vista dei bisogni del mercato del lavoro. Il procedimento principale si distinguerebbe così in modo rilevante dalle cause già decise dalla Corte.

47.
    La Commissione sottolinea, richiamando la sentenza nella causa Lawrie-Blum (13), che, in linea di principio, la natura di diritto pubblico di un'attività non esclude di per sé l'applicabilità della direttiva 76/207. Determinati obblighi di servizio di diritto pubblico storicamente sviluppatisi, a cui appartengono, oltre all'obbligo di leva, ad esempio anche peculiarità nazionali come l'obbligo di mantenimento degli argini per gli abitanti delle isole e delle coste, non possono tuttavia rientrare in disposizioni di diritto comunitario che sono orientate alla vita professionale. Diverso sarebbe se uno Stato membro introducesse, sulla base di considerazioni di politica sociale o di salute, un generale obbligo di cura degli anziani e dei malati.

48.
    Considerato tutto ciò, né gli artt. 13 CE e 141 CE né la direttiva 76/207, emanata sul fondamento dell'art. 235 Trattato CE (ora art. 308 CE), si applicherebbero all'obbligo di leva.

49.
    Gli Stati membri potrebbero così invocare per il rispetto della loro sovranità militare come tradizionalmente sviluppatasi in senso nazionale l'art. 6, n. 3, UE e l'art. 5 CE.

50.
    Nemmeno la considerazione delle conseguenze dell'obbligo di leva per l'accesso al lavoro condurrebbe ad un diverso risultato. L'obbligo di leva non restringerebbe l'ambito di applicazione del diritto comunitario di più di quanto sia conforme alla sua natura. Non sarebbe necessario esaminare se l'obbligo di leva per gli uomini possa essere eventualmente giustificato nell'ambito della direttiva 76/207. La Corte nella sentenza Schnorbus ha potuto solo ammettere la compatibilità delle disposizioni nazionali con questa direttiva perché essa non ha considerato le limitazioni inerenti all'obbligo di leva come una violazione del diritto comunitario.

51.
    All'udienza la Commissione ha altresì fatto valere che, poiché l'obbligo di leva è escluso dalla competenza della Comunità, devono essere accettate anche le conseguenze che derivano per il diritto comunitario. Non si potrebbe affermare che sia sempre solo il diritto comunitario a comprimere il diritto nazionale, in quanto entro determinati limiti il diritto nazionale afferma il proprio ambito di applicazione.

52.
    Quanto alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la Commissione deduce che gli artt. 20, 21 e 23 della stessa, riguardanti il principio di parità e il divieto di discriminazione tra uomini e donne si applicherebbero, ai sensi dell'art. 51, n. 1, della Carta, solo agli atti degli Stati membri che costituiscano attuazione del diritto dell'Unione, il che non si verifica nel caso di specie.

C - Valutazione

53.
    L'obbligo tedesco di leva è, secondo l'incontestato argomento del governo tedesco, una componente essenziale delle disposizioni nazionali volte ad assicurare la sicurezza esterna della Repubblica federale di Germania.

54.
    Il nucleo della questione pregiudiziale è di sapere se un obbligo di leva e anche la sua organizzazione siano completamente sottratti al campo di applicazione del diritto comunitario, perché spetta agli Stati membri adottare i provvedimenti idonei ad assicurare la sicurezza esterna e in tal modo prendere la decisione sull'organizzazione delle proprie forze armate. In caso di soluzione negativa occorrerebbe chiarire quali disposizioni di diritto comunitario possano essere applicabili e se esso ostino ad un obbligo di leva solo per gli uomini.

1. Principi relativi all'applicabilità del diritto comunitario a provvedimenti nazionali volti ad assicurare la sicurezza esterna

55.
    Dal principio della competenza limitata (art. 5 CE) deriva che gli Stati membri sono i soli competenti nelle materie per le quali o al legislatore comunitario non sono state trasferite le competenze oppure - prescindendo dal caso della competenza esclusiva - nonostante la competenza comunitaria non esistono normative comunitarie.

56.
    La Corte ha tuttavia più volte sottolineato con costante giurisprudenza che vi sono ambiti nei quali, anche se essi rientrano in linea di principio nel potere normativo sovrano esclusivo degli Stati membri, il diritto comunitario pone dei limiti a tale competenza (14).

57.
    A questo riguardo la Corte si è occupata anche di provvedimenti nazionali nell'ambito della pubblica sicurezza, a cui appartiene oltre alla sicurezza interna anche quella esterna (15). Anzitutto, a parere della Corte, «gli Stati membri, che restano i soli competenti quanto al mantenimento dell'ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna, fruiscono di una discrezionalità per stabilire quali siano (...) i provvedimenti più atti (...)» (16).

58.
    Nella sentenza relativa alla causa Sirdar (17), in cui la Corte ha dovuto occuparsi di limitazioni di accesso per le donne a taluni posti di servizio per militari di carriera, essa dichiarava inoltre:

«Occorre rilevare che spetta agli Stati membri, che devono stabilire le misure adeguate per garantire la loro sicurezza interna ed esterna, adottare le decisioni relative all'organizzazione delle loro forze armate. Non ne deriva, cionondimeno, che siffatte decisioni debbano esulare del tutto dall'ambito di applicazione del diritto comunitario.

Infatti, come la Corte ha già affermato, il Trattato prevede deroghe da applicare in situazioni che possono compromettere la pubblica sicurezza soltanto negli artt. 36, 48, 56, 223 (divenuti, in seguito a modifica, artt. 30 CE, 39 CE, 46 CE e 296 CE) e 224, che riguardano ipotesi eccezionali chiaramente delimitate. Non è lecito dedurne una riserva generale, inerente al Trattato, che escluda dall'ambito d'applicazione del diritto comunitario qualsiasi provvedimento adottato per motivi di pubblica sicurezza [(18)]. L'ammettere l'esistenza di una riserva del genere, prescindendo dai presupposti specifici stabiliti dal Trattato, rischierebbe di compromettere la forza cogente e l'applicazione uniforme del diritto comunitario (...)

Inoltre, talune delle deroghe previste dal Trattato riguardano solo le norme relative alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi, e non le disposizioni in materia sociale del Trattato, fra le quali rientra il principio della parità di trattamento tra uomini e donne (...)

Ne consegue che l'attuazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne non è soggetta ad alcuna riserva generale con riguardo a provvedimenti per l'organizzazione delle forze armate motivati dalla tutela della pubblica sicurezza (...)».

59.
    Tali considerazioni si trovano praticamente identiche alla lettera nella sentenza della Corte relativa alla causa Kreil (19). Benché nelle cause Sirdar e Kreil si trattasse dell'accesso a posti di servizio in un esercito professionale, una qualificazione come «provvedimento per l'organizzazione delle forze armate» non può sostanzialmente essere diversa per l'esercito professionale e l'obbligo di leva.

60.
    Anche nelle sentenze relative ad altre cause, riguardanti provvedimenti nazionali di sicurezza esterna o di politica estera, la Corte ha fatto capire che dal diritto comunitario non è lecito dedurre alcuna riserva implicita che escluda dall'ambito d'applicazione del diritto comunitario qualsiasi provvedimento adottato per motivi di pubblica sicurezza (20).

61.
    Infine l'avvocato generale Jacobs si è occupato, nelle conclusioni relative alla causa Commissione/Grecia (21), di un embargo commerciale nazionale unilaterale motivato esclusivamente da ragioni di politica di sicurezza. La politica del commercio estero rientra nella competenza esclusiva della Comunità. Pertanto era dubbio se occorresse verificare la compatibilità con l'art. 113 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE) del commercio della Grecia oppure se come provvedimento di politica nazionale di sicurezza fosse estraneo al diritto comunitario. L'avvocato generale Jacobs osservava al riguardo:

«L'elemento decisivo risiede, a nostro parere, non nella finalità dell'embargo, bensì nei suoi effetti. Un provvedimento che abbia per effetto di impedire o di restringere direttamente gli scambi commerciali con un paese terzo rientra nella sfera di applicazione dell'art. 113, indipendentemente dalle sue finalità» (22).

62.
    In sintesi si deve dunque ricordare che provvedimenti nazionali diretti a garantire la sicurezza pubblica non sono del tutto sottratti al diritto comunitario. L'organizzazione delle forze armate come componente essenziale della garanzia della sicurezza esterna ricade in quanto tale nella competenza esclusiva degli Stati membri. Se però i provvedimenti nazionali a tal fine adottati producono effetti in ambiti disciplinati dal diritto comunitario, viene in questione il campo di applicazione del diritto comunitario e così questi effetti devono essere valutati secondo il parametro del - prevalente (23) - diritto comunitario (24).

63.
    Applicato alla presente questione, ciò significa: l'introduzione di un generale obbligo nazionale di leva come provvedimento di organizzazione della sicurezza esterna è e rimane una decisione politica dello Stato membro che lo adotta. Spetta agli Stati membri decidere se e come utilizzare le forze armate nazionali per garantire la loro sicurezza esterna.

64.
    Questo non significa tuttavia che l'articolazione in concreto dei provvedimenti nazionali adottati in questo contesto non sia da esaminare con riguardo ai suoi effetti su altre posizioni giuridiche tutelate dal diritto comunitario.

65.
    Dall'ordinanza di rinvio risulta che il caso di specie riguarda il principio di diritto comunitario della parità di trattamento tra uomini e donne in merito all'accesso al lavoro.

66.
    Nel prosieguo occorrerebbe anzitutto accertare quali obblighi prevede il diritto comunitario relativo alla parità di trattamento tra i sessi e qual è rispettivamente il campo di applicazione di tali obblighi. Qualora l'organizzazione di un generale obbligo di leva come quello tedesco rientrasse con i suoi effetti nel campo di applicazione di una disciplina di diritto comunitario così individuata e qualora tali effetti fossero contrari alla parità di trattamento, occorrerebbe ulteriormente esaminare se questo contrasto possa essere ricondotto ad una disposizione di deroga prevista in questa stessa disciplina comunitaria e se così esso possa essere ammissibile o infine - in presenza di una discriminazione indiretta - venire giustificato.

67.
    In conformità alla riformulata questione pregiudiziale (25), nel caso di cui trattasi occorrerebbe esaminare a questo riguardo l'art. 3, n. 2, CE, l'art. 13 CE e l'art. 141 CE nonché la direttiva 76/207.

2. Sulle disposizioni del Trattato CE

68.
    L'obbligo, disciplinato all'art. 3, n. 2, CE, di eliminare le ineguaglianze tra uomini e donne e di promuovere la parità tra i sessi deve essere rispettato solo nell'ambito delle attività della Comunità. L'obbligo di leva è tuttavia un provvedimento nazionale. Poiché il legislatore nazionale non è il destinatario di questa disposizione, l'art. 3, n. 2, CE di per sé considerato non è un parametro di giudizio (26).

69.
    L'art. 13 CE contiene solamente un fondamento di competenza per il legislatore comunitario e ciò solo «nell'ambito delle competenze conferite [dal Trattato] alla Comunità». Questo mero fondamento di competenza non può di per sé dare vita a pretese di parità di trattamento tra uomini e donne che vanno al di là del diritto secondario esistente.

70.
    Secondo una costante giurisprudenza della Corte (27), l'art. 141, n. 1, CE (ex art. 119, n. 1, Trattato CE) attribuisce sì una diretta pretesa alla parità di trattamento tra uomini e donne. Tuttavia esso è applicabile solo quando si tratta di questioni che riguardano la pari «retribuzione», ma non quando si tratta della parità di accesso al lavoro retribuito. Dall'art. 141, n. 2, CE, che contiene una definizione della nozione di «retribuzione», risulta evidente che la discriminazione qui affermata nell'accesso al mercato del lavoro non rientra nel campo di applicazione dell'art. 141 CE. L'art. 141, n. 4, CE riguarda infatti in generale l'«assicurare (...) [la] completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa». La disposizione contiene tuttavia solo un chiarimento circa la possibilità del mantenimento o dell'adozione di agevolazioni in base al sesso negli ordinamenti degli Stati membri. Per l'art. 141, n. 3, CE vale peraltro per analogia quanto appena detto sull'art. 13 CE. Anche questa disposizione contiene solo un fondamento di competenza per l'adozione di provvedimenti di diritto comunitario riguardanti la parità di trattamento tra uomini e donne in questioni di lavoro e di occupazione (28).

71.
    In conclusione occorre quindi rilevare che né l'art. 3, n. 2, CE né l'art. 13 CE o l'art. 141 CE ostano ad un obbligo di leva solo per gli uomini.

3. Sulla direttiva 76/207

72.
    Occorre anzitutto esaminare se l'organizzazione dell'obbligo di leva oppure i suoi effetti rientrino nel campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207. Solo in caso positivo ci si dovrebbe occupare della questione di una discriminazione sulla base del sesso.

a) Sulla questione se l'obbligo di leva in sé sia da intendere come «impiego» ai sensi dell'art. 3, n. 1, della direttiva 76/207

73.
    Diversi di coloro che hanno presentato osservazioni alla Corte hanno anzitutto sollevato la questione se la direttiva 76/207 sia a priori applicabile all'obbligo di leva. Si dubitava che le attività nell'ambito dell'obbligo di leva potessero essere considerate come «impiego» ai sensi dell'art. 3, n. 1, della direttiva 76/207. Poiché l'obbligo di leva è un obbligo del cittadino unilateralmente imposto in modo sovrano senza diritto ad una retribuzione, ciò può essere effettivamente dubbio.

74.
    Inoltre occorre rilevare che la Corte ha già deciso che il carattere di diritto pubblico di un rapporto di servizio di per sé non rappresenta un motivo per non applicare la direttiva 76/207 (29). A mio parere, non è tuttavia questo il problema.

75.
    Si deve infatti considerare in quale contesto la direttiva 76/207 parla di «impieghi» e «posti di lavoro». L'art. 3 deve tutelare dalle discriminazioni legate al sesso nell'«accesso» al lavoro. L'argomento del sig. Dory non si riferisce tuttavia alla critica di discriminazioni legate al sesso nell'accesso al servizio militare. Secondo l'ordinanza di rinvio, non è nemmeno oggetto del procedimento se il mancato accesso delle donne al servizio militare possa eventualmente giocare a loro svantaggio, qualora esse ad esempio volessero svolgere la professione di militare di carriera (30).

76.
    L'argomento del sig. Dory si riferisce piuttosto agli effetti da lui asseriti dell'obbligo di leva sull'accesso degli uomini al mercato del lavoro dopo la prestazione del servizio militare. Quanto agli aspetti dell'accesso al mercato del lavoro, senza dubbio essi rientrano nel campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207.

b) Sulla questione se gli effetti che l'obbligo di leva produce sull'accesso degli uomini al mercato del lavoro siano ricompresi nel campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207

77.
    Anzitutto occorre rilevare quali effetti l'obbligo di leva produca o possa produrre sull'accesso degli uomini al mercato del lavoro: durante il periodo in cui viene prestato il servizio militare l'accesso al mercato del lavoro è in pratica del tutto impossibile già per il solo motivo dell'obbligo di presenza. Non è pertanto possibile dubitare che gli uomini - diversamente dalle donne coetanee - in linea di principio durante questo periodo non abbiano affatto «accesso al lavoro» inteso come impiego in ambito civile. Dopo la prestazione del servizio militare l'accesso al mercato del lavoro è sì senza restrizioni, tuttavia l'accesso degli uomini che hanno prestato il servizio militare è ritardato rispetto a paragonabili donne coetanee (31).

78.
    Prima dell'esame della questione se queste diverse posizioni rispetto alle donne quanto all'accesso al mercato del lavoro civile siano «discriminazioni» ai sensi della direttiva 76/207, si pone anzitutto la questione generale se l'art. 3, n. 1, della direttiva 76/207 ricomprenda solo quei provvedimenti nazionali che mirino alla disciplina dell'accesso al lavoro oppure anche quelli che abbiano o possano avere solamente un effetto sull'accesso al lavoro senza mirare a disciplinare tale accesso. Il temporaneo impedimento e il successivo ritardo relativi all'accesso degli uomini al mercato del lavoro, qui contestati, non sono infatti oggetto del WPflG, ma piuttosto ne costituiscono gli effetti.

i) Sulla giurisprudenza della Corte in merito a provvedimenti nazionali che mirano a disciplinare l'accesso al mercato del lavoro

79.
    Nella sua giurisprudenza sulla direttiva 76/207 la Corte si è finora occupata essenzialmente di provvedimenti nazionali aventi ad oggetto una disciplina - direttamente in base al sesso - dell'accesso a determinati impieghi (32).

80.
    Anche nelle sentenze Kreil e Sirdar (33) emerge un simile contesto, tra il provvedimento da valutare alla luce della direttiva e la situazione rispetto alla quale si manifesta la disparità di trattamento, il quale differisce da quello relativo alla causa di cui trattasi. In entrambi i casi si trattava dell'accesso al servizio nelle forze armate, cioè, in concreto, di divieti lavorativi, e in entrambi i casi occorreva valutare rispetto alla direttiva i relativi provvedimenti, che avevano direttamente ad oggetto l'accesso a questo servizio.

81.
    Ma nel caso di divieti diretti di accesso in base al sesso l'applicazione della direttiva 76/207 è fuori discussione.

82.
    La Corte ha inoltre riconosciuto l'applicabilità della direttiva 76/207 alle quote in base al sesso (34) relative alle assunzioni in determinati ambiti occupazionali. Anche in tale ipotesi si tratta di provvedimenti nazionali che miravano chiaramente ad una regolamentazione dell'accesso ad un determinato mercato del lavoro, sicché l'applicabilità della direttiva 76/207 era indubbia.

83.
    Nella sentenza relativa alla causa Schnorbus (35) la Corte doveva occuparsi di una disparità di trattamento relativa all'accesso alla formazione professionale (art. 4 della direttiva 76/207). In questo caso la disparità di trattamento consisteva nel fatto che gli uomini che avevano prestato il servizio militare o quello sostitutivo venivano preferiti ad altri candidati oppure venivano più velocemente accettati nella formazione. Poiché in tal modo la disciplina dell'accettazione nella formazione professionale era contenuta in un provvedimento nazionale da verificare in rapporto ad una discriminazione, perché essa era alla base della disparità di trattamento, anche in tale caso era fuori discussione l'applicabilità della direttiva 76/207 a motivo dell'oggetto di tale provvedimento nazionale (36).

ii) Sulla giurisprudenza della Corte relativa a provvedimenti nazionali che hanno per effetto un accesso differenziato al mercato del lavoro

84.
    Vorrei porre a fondamento delle mie considerazioni, sulla questione se un provvedimento nazionale rientri nel campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 anche quando esso non mira ad una regolamentazione dell'accesso al mercato del lavoro, ma ciononostante un accesso differenziato ne costituisca o ne possa costituire la conseguenza, la giurisprudenza della Corte relativa a tre cause. Da un lato, si tratta della giurisprudenza nelle cause riunite Jackson e Cresswell (37) nonché nella causa Meyers (38) e, dall'altro, della giurisprudenza nella causa Schnorbus (39). Benché queste cause si differenzino anche sul piano del contenuto, tuttavia mi pare che esse siano accumunate da profili analoghi relativi al campo di applicazione della direttiva 76/207.

Sulle cause Jackson e Cresswell nonché sulla causa Meyers

85.
    In entrambe le cause le ricorrenti dei procedimenti principali erano interessate ai requisiti necessari per l'ottenimento di prestazioni sociali statali a vantaggio di persone non appartenenti al regolare mercato del lavoro. Si affermava che tali requisiti avrebbero avuto come conseguenza di svantaggiare nell'accesso al regolare mercato del lavoro i genitori che allevano da soli i figli (che di regola sono le madri).

86.
    La Corte ha dichiarato al punto 28 della sentenza nella cause riunite Jackson e Cresswell (40):

«Ciò non toglie che un tale regime non rientri nella sfera di questa direttiva sol perché abbia ad oggetto l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione e la formazione professionali, nonché le condizioni di lavoro».

Al punto 30 la Corte giunge quindi al risultato:

«Ciò posto, l'assunto secondo il quale le modalità di calcolo del reddito effettivo degli aventi diritto alle prestazioni in questione, che funge da parametro per la determinazione del loro importo, potrebbero ripercuotersi sulle possibilità di accesso alla formazione professionale ed al lavoro ad orario ridotto dei genitori singoli di sesso femminile, non è sufficiente per affermare che simili regimi siano riconducibili alla sfera della direttiva 76/207/CEE».

87.
    Al punto 13 della sentenza nella causa Meyers la Corte ha dichiarato, richiamandosi alla sentenza sopra menzionata (41):

«(...) la direttiva non diviene applicabile solo perché i presupposti del diritto a ricevere le prestazioni possano ripercuotersi sulla possibilità, per un genitore non convivente, di accedere a un lavoro (...)».

Nel prosieguo la Corte verifica le caratteristiche della prestazione sociale in questione e al punto 21 giunge alla conclusione:

«Ciò posto, il “family credit” ha come scopo l'accesso al lavoro di cui all'art. 3 della direttiva».

88.
    Si potrebbe ora intendere che in queste due sentenze la Corte abbia interpretato restrittivamente il campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 e che abbia negato l'applicabilità della direttiva nel caso di - taluni - provvedimenti nazionali che possano solamente cagionare restrizioni dell'accesso al lavoro, ma che non abbiano tale accesso ad oggetto («scopo»). Così si impongono paralleli con l'obbligo di leva nazionale solo per gli uomini: anch'esso ha per effetto differenze sulla base del sesso nell'accesso al mercato del lavoro, ma il suo «scopo» è completamente diverso, vale a dire la garanzia della sicurezza esterna.

89.
    Non sembra tuttavia sicuro se la Corte nella causa Jackson e Cresswell abbia effettivamente formulato un principio in senso così ampio.

90.
    In senso contrario depone anzitutto che questa interpretazione del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 nei menzionati casi era collegata con il fatto che i procedimenti principali riguardavano prestazioni della sicurezza sociale, di cui si affermava che la loro articolazione avrebbe avuto per effetto una discriminazione delle donne nell'accesso al mercato del lavoro. Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte (42), le prestazioni aventi origine nell'ambito della sicurezza sociale sono escluse, ai sensi dell'art. 1, n. 2 (43), della direttiva 76/207, dal suo campo di applicazione. La Corte interpreta nuovamente questa eccezione in modo restrittivo secondo i principi generali. Ciò comporta che essa interpreta anzitutto in modo estensivo il campo di applicazione della direttiva 76/207 visto nel complesso. In tale modo la Corte giunge al risultato che un provvedimento nazionale che, secondo la sua origine, è una prestazione della sicurezza sociale, tuttavia - ma anche solo allora -, rientra nel campo di applicazione della direttiva 76/207, qualora esso abbia come «oggetto» uno degli ambiti ricompresi dalla direttiva, cioè l'accesso al lavoro, comprensivo della formazione professionale e della promozione professionale, o le condizioni di lavoro. In tale modo la Corte in definitiva ha interpretato restrittivamente non solo l'eccezione, bensì anche la regola, cioè quali provvedimenti sono effettivamente ricompresi nel campo di applicazione della direttiva.

91.
    Ciò che la Corte nelle sentenze menzionate non ha verificato è la questione generale - da distinguere dall'origine di un provvedimento nell'ambito della sicurezza sociale - se i provvedimenti nazionali che hanno per effetto una maggiore difficoltà in base al sesso nell'accesso al lavoro, in quanto questo è differenziato, rientrino nel campo di applicazione della direttiva, benché l'accesso al lavoro non ne costituisca l'«oggetto».

92.
    Anche se la citata giurisprudenza della Corte non conduce necessariamente ad una - in definitiva - interpretazione restrittiva del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207, sono tuttavia del parere che tale interpretazione possa essere giustificata. La Corte chiarisce a contrario che dipende solo dal contenuto del provvedimento nazionale se questo ricada al di fuori del campo di applicazione della direttiva, nonostante una (formale) appartenenza di un provvedimento nazionale ad un sistema di sicurezza sociale. Altrettanto chiaramente tuttavia la Corte delimita il contenuto del provvedimento, che si riserva di esaminare sulla base della direttiva. Proprio perché essa in conformità alla sua giurisprudenza parte dal presupposto di un'interpretazione restrittiva di una disposizione eccezionale, un provvedimento nazionale può essere valutato non alla luce del parametro costituito dalla direttiva 76/207 solo se esso non rientra in nessuno degli ambiti menzionati negli artt. 3-5 della direttiva stessa.

93.
    La direttiva 76/207 tiene presenti le «classiche» restrizioni in base al sesso negli ambiti menzionati: così l'art. 3, n. 2, lett. c), si riferisce in modo riconoscibile all'eliminazione di normative nazionali che hanno ad oggetto una disciplina (in base al sesso) dell'accesso a «tipici» lavori per donne o per uomini (parimenti vale per l'art. 5, n. 2, lett. c), con riguardo alle condizioni di lavoro). Anche dall'elenco delle eccezioni dell'art. 2, nn. 2-4, si ricava che la direttiva deve servire, come suo principio, ad eliminare quei provvedimenti nazionali che sono diretti a disciplinare l'accesso al lavoro, alla formazione professionale e le condizioni di lavoro. Nella direttiva non c'è invece alcuna indicazione secondo la quale debbano essere soggetti ad un esame anche quei provvedimenti nazionali che non mirano a regolamentare gli ambiti in questione, ma semplicemente vi determinano delle differenze.

Sulla causa Schnorbus

94.
    Mi pare che un principio paragonabile sia stato adottato dalla Corte - prescindendo dagli altri presupposti - anche nella sua sentenza relativa alla causa Schnorbus (44). Oggetto della verifica sull'accesso al tirocinio per le professioni legali secondo il parametro della direttiva non erano le disposizioni relative all'obbligo di leva come tali, bensì piuttosto quelle disposizioni che «disciplinano le condizioni in cui l'ammissione dei candidati al tirocinio per le professioni legali possa o meno essere ritardata (...)» (45).

95.
    Sul piano dell'accesso al tirocinio per le professioni legali, dunque nel caso di cui trattasi sul piano dell'accesso al lavoro in ambito civile (46), la Corte ha esaminato quel provvedimento che disciplina direttamente i presupposti dell'accesso in questione, poiché solo questo provvedimento disciplinava l'«accesso al lavoro» ai sensi della direttiva. Sul piano dell'«accesso al lavoro» quel provvedimento, che aveva ad oggetto la disciplina dell'accesso, si riallacciava all'obbligo di leva tuttavia solo come elemento normativo della fattispecie dell'«adempimento di un servizio obbligatorio imposto dalla legge». L'obbligo di leva era quindi palesemente sì il presupposto per il provvedimento, tuttavia non era soggetto ad alcun esame sulla base della direttiva, poiché di per sé esso non disciplina l'«accesso al lavoro» ai sensi della direttiva 76/207. In tal modo la Corte nella causa Schnorbus non ha dovuto esaminare affatto la sesta questione pregiudiziale (47).

96.
    Pertanto la Corte - benché non espressamente - anche qui è partita chiaramente da una rappresentazione del campo di applicazione della direttiva 76/207 secondo cui i provvedimenti nazionali che semplicemente hanno per effetto una restrizione dell'accesso alla formazione professionale, la cui regolamentazione non ne costituisce però lo «scopo», si trovano al di là del campo di applicazione della direttiva.

97.
    Ai sensi delle considerazioni sopra svolte ciò sembra anche logico, poiché la disparità di trattamento da esaminare era un effetto dell'obbligo di leva, non invece il suo «scopo».

Conclusione parziale

98.
    Sono del parere che il campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 alla luce delle considerazioni di cui sopra deve limitarsi in linea di principio a provvedimenti nazionali il cui «scopo» consiste nella disciplina delle condizioni di lavoro o dell'accesso al lavoro o alla formazione professionale.

99.
    A mio avviso, quindi, in connessione con l'obbligo di leva e rispetto all'accesso al normale mercato del lavoro, in cui il sig. Dory si sente discriminato nella causa di cui trattasi, sarebbero da rapportare alla direttiva 76/207 solo quelle normative che hanno come «scopo» la disciplina dei presupposti dell'accesso al lavoro in ambito civile, come ad esempio come nel caso Schnorbus provvedimenti compensatori che si ricollegano all'assolvimento dell'obbligo di leva come (obiettivo) elemento di distinzione.

100.
    L'obbligo di leva come tale si trova invece in un collegamento sufficientemente diretto con la questione della parità di trattamento solo con riguardo all'accesso a posti di servizio in un esercito professionale (48), perché possa essere messo in rilievo un problema di discriminazione ai sensi della direttiva 76/207. In altre parole, l'obbligo di leva può ricadere nell'ambito di applicazione della direttiva in quanto si tratti di discriminazioni sulla base del sesso rispetto all'accesso al lavoro nelle forze armate e non all'occupazione nel normale mercato del lavoro.

iii) Sul possibile significato dell'art. 3, n. 2, CE nell'interpretazione del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 rispetto a provvedimenti nazionali che hanno effetti in base al sesso sull'accesso al mercato del lavoro

101.
    Dai rilievi appena formulati non si può tuttavia dedurre che qualsiasi «scopo» di un provvedimento nazionale che venga fatto valere sia idoneo a sottrarre completamente ad una verifica sulla scorta della direttiva 76/207 un provvedimento che abbia meramente come effetto la produzione di pregiudizi in base al sesso nell'accesso al mercato del lavoro.

102.
    Nell'interpretazione del campo di applicazione della direttiva 76/207, a mio parere, occorre considerare anche l'art. 3, n. 2, CE. Questa disposizione di diritto primario non era ancora in vigore al momento dell'introduzione della direttiva. Tramite essa, tuttavia, la Comunità è obbligata espressamente a promuovere attivamente la parità tra uomini e donne.

103.
    Circa il campo di applicazione dell'art. 3, n. 2, CE, occorre rilevare che esso vale per l'«azione della Comunità a norma del» n. 1. Il diritto comunitario che riguarda la parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso al lavoro può essere considerata come «politica nel settore sociale» ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. j), CE (49). L'art 3, n. 2, CE obbliga, quanto all'«azione (...) a norma del presente articolo», la «Comunità». In tale nozione rientra senz'altro anche la Corte qualora essa nell'ambito di questioni pregiudiziali venga investita dell'interpretazione di diritto secondario nell'ambito della politica nel settore sociale.

104.
    Sul piano dei contenuti l'art. 3, n. 2, CE obbliga la Comunità a «promuovere» la parità tra uomini e donne. Con questo obbligo di promozione appare difficilmente conciliabile un'interpretazione del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207, che sottragga sempre provvedimenti nazionali (che abbiano effetti in base al sesso sull'accesso al mercato del lavoro) ad una verifica sulla scorta della direttiva, qualora lo Stato membro potesse addurre un qualsiasi - altro - «scopo» per la sua giustificazione.

105.
    A mio parere, dall'obbligo di promozione di cui all'art. 3, n. 2, CE deriva che un'interpretazione del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 come quella sopra (50) sostenuta necessita della seguente precisazione: questi provvedimenti nazionali dovrebbero essere esclusi dal campo di applicazione della direttiva solo se fosse provato che essi hanno esclusivamente uno «scopo» diverso dalla disciplina dell'accesso al lavoro, ivi comprese la formazione e la promozione professionale, o delle condizioni di lavoro. Provvedimenti nazionali di tale genere che ad esempio perseguano anche una disciplina in base al sesso dell'accesso al mercato del lavoro come scopo secondario sarebbero pertanto senz'altro compresi nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207. Inoltre si potrebbe riflettere se lo «scopo» fatto valere dei provvedimenti nazionali interessati non debba in ogni caso essere soggetto anche in un certo modo ad una verifica sul piano del contenuto rispetto agli scopi dell'art. 3, n. 2, CE, qualora questo «scopo» riguardi uno degli ambiti di cui all'art. 3, n. 1, CE (51). Qui sarebbe eventualmente da esaminare se ed in che misura lo «scopo» sia compatibile con l'obbligo di promozione di cui all'art. 3, n. 2, CE. Una verifica contenutistica dello «scopo» fatto valere non verrebbe tuttavia in questione in nessun caso, qualora esso in quanto tale non rientrasse affatto nel diritto comunitario.

iv) Applicazione delle esposte considerazioni sul campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207 all'obbligo nazionale di leva solo per gli uomini

106.
    Applicando quanto detto al caso di cui trattasi, si deve dire quanto segue: l'obbligo nazionale di leva solo per gli uomini ha per effetto un accesso al mercato del lavoro differenziato in base al sesso.

107.
    Poiché l'obbligo nazionale di leva solo per gli uomini, secondo l'argomento non contestato, ha uno scopo diverso dalla disciplina dell'accesso al lavoro, ivi comprese la formazione e la promozione professionali, o delle condizioni di lavoro - in particolare la garanzia della sicurezza esterna della Germania tramite una determinata forma di organizzazione delle forze armate -, in linea di principio questo provvedimento è al di fuori del campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207.

108.
    L'obbligo nazionale di leva solo per gli uomini serve, secondo l'argomento pure non contestato, esclusivamente alla garanzia della sicurezza esterna. La garanzia della sicurezza nazionale esterna è - come è stato sopra (52) illustrato - come tale non ricompresa nel diritto comunitario, sicché l'interpretazione restrittiva della direttiva 76/207 in questo caso è compatibile con l'art. 3, n. 2, CE.

c) Conclusione

109.
    Se un obbligo nazionale di leva solo per gli uomini nonostante gli effetti sull'accesso degli uomini al mercato del lavoro non rientra dunque nel campo di applicazione obiettivo della direttiva 76/207, un'ulteriore verifica rispetto al parametro della direttiva con riguardo alla sussistenza di una discriminazione o della sua possibile giustificazione risulta superflua.

110.
    In conclusione va dichiarato che la direttiva 76/207 non osta ad un obbligo nazionale di leva solo per gli uomini come quello della controversia principale.

VI - Conclusione

111.
    Alla luce di quanto precede si propone alla Corte di risolvere come segue la riformulata questione pregiudiziale:

«L'art. 3, n. 2, CE, l'art. 13 CE e l'art. 141 CE nonché la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro allo stato attuale del diritto comunitario devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale come l'obbligo tedesco di leva che vale solo per gli uomini».


1: -     Lingua originale: il tedesco.


2: -     GU L 39, pag. 40.


3: -     BGBl. 1949 I, nella versione del BGBl. 2000 I, pag. 1755.


4: -     BGBl. 1956 I, pag. 651, nella versione del BGBl. 1995 I, pag. 1756.


5: -     Sentenza della Corte 11 gennaio 2000, causa C-285/98, Kreil (Racc. pag. I-69).


6: -     Sentenza della Corte 7 dicembre 2000, causa C-79/99, Schnorbus (Racc. pag. I-10997).


7: -     Sentenze 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121, punto 34), e 4 maggio 1993, causa C-17/92, Distribuidores Cinematográficos (Racc. pag. I-2239, punto 8).


8: -     Sentenze Teckal (citata alla nota 7), punto 34; 13 dicembre 1984, causa 251/83, Haug-Adrion (Racc. pag. 4277, punto 9); 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro (Racc. pag. I-4705, punto 21) e 29 gennaio 2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer (Racc. pag. I-1049).


9: -     La questione pregiudiziale non si riferisce in questo contesto ad altri ambiti del diritto comunitario, come ad esempio la libera circolazione dei lavoratori (art. 39 CE) o la libera prestazione di servizi (artt. 49 ss. CE).


10: -     Sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723).


11: -     Sentenze Kreil (citata alla nota 5) e 26 ottobre 1999, causa C-273/97, Sirdar (Racc. pag. I-7403).


12: -     Citata alla nota 6.


13: -     Sentenza 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum (Racc. pag. 2121).


14: -     Ad es., con riguardo al diritto penale e al diritto processuale penale, sentenza 24 novembre 1998, causa C-274/96, Bickel e Franz (Racc. pag. I-7637, punto 17); inoltre, sull'organizzazione dell'istruzione e della politica d'istruzione, sentenze 3 luglio 1974, causa 9/74, Casagrande (Racc. pag. 773), e 13 febbraio 1985, causa 293/83, Gravier (Racc. pag. 593); sull'organizzazione del sistema di previdenza sociale, sentenze 7 maggio 1991, causa C-229/89, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-2205); 14 dicembre 1995, causa C-317/93, Nolte (Racc. pag. I-4625), e 28 aprile 1998, causa C-120/95, Decker (Racc. pag. I-1831); sulle imposte dirette, sentenza 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag. I-3089); sulla partecipazione a comunità religiose o legate a concezioni spirituali o filosofiche della vita, sentenza 5 ottobre 1988, causa 196/87, Steymann (Racc. pag. 6159), o, su regole processuali amministrative o giurisdizionali, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989); 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck e a. (Racc. pag. I-4599), e cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel e van Veen (Racc. pag. I-4705).


15: -     Ad es., sentenze 4 ottobre 1991, causa C-367/89, Richardt e «Les Accessoires Scientifiques» (Racc. pag. I-4621); 17 ottobre 1995, causa C-83/94, Leifer e a. (Racc. pag. I-3231), e 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651).


16: -     Sentenza 9 dicembre 1997, causa C-265/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I-6959, punto 33).


17: -     Citata alla nota 11 (punti 15 e segg.).


18: -     Il corsivo è mio.


19: -     Citata alla nota 5 (punti 15 e segg.).


20: -     Sentenze 13 luglio 2000, causa C-423/98, Albore (Racc. pag. I-5965, punti 19 e segg.) - zona d'importanza militare; 17 ottobre 1995, causa C-70/94, Werner (Racc. pag. I-3189, punto 10); Leifer e a. (citata alla nota 15) - perturbazione dei rapporti internazionali; 31 maggio 2001, causa C-283/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I-4363) - sicurezza privata, e Commissione/Francia (citata alla nota 16) - disordini pubblici.


21: -     Conclusioni presentate il 6 aprile 1995 nella causa C-120/94, Commissione/Grecia (Racc. 1996, pag. I-1513).


22: -     Conclusioni citate alla nota 21 (paragrafo 42).


23: -     Fondamentale la sentenza della Corte 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa/E.N.E.L. (Racc. pag. 1253).


24: -     Sull'ampia discussione relativa alle donne nelle forze armate, in particolare in ambito germanofono, cfr. ad es. B. von Wilmowsky, «Ausnahmebereiche gegenüber EG-Grundfreiheiten», Europarecht, 1996, pag. 362; Streinz, «Frauen an die Front», Deutsches Verwaltungsblatt, 2000, pag. 585; Tobler, «Kompetenzanmaßung der EG via den EuGH? — Zur Rechtsprechung des EuGH über Anwendbarkeit des EG-Gleichstellungsrechtes auf Arbeitsverhältnisse in den Streitkräften der Mitgliedstaaten», Aktuelle juristische Praxis, 2000, pag. 577; Stahn, «Streitkräfte im Wandel — Zu den Auswirkungen der EuGH-Urteile Sirdar und Kreil auf das deutsche Recht», Europäische Grundrechte Zeitschrift, 2000, pag. 121; Hühn, «Die Waffen der Frauen: Der Fall Kreil — erneuter Anlass zum Konflikt zwischen europäischer und deutscher Gerichtsbarkeit?», Schriften zur europäischen Integration Nr. 51 (2000), pag. 5; Zuleeg, «Fällt die Wehrpflicht in Deutschland durch Richterspruch?», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2002, pag. 545; inoltre anche Ellis, «Can Public Safety Provide An Excuse For Sex Discrimination?», The Law Quarterly Review, 1986, pag. 496; Müller-Graff/Bulst, «New Issues In A Sensitive Relationship — Tanja Kreil between secondary EC-law and national constitutional law», Europarättslig tidskrift, 2000, pag. 295; in senso critico Scholz, «Frauen an die Waffe kraft Europarecht», Die öffentliche Verwaltung, 2000, pag. 417; Rupp, «Bemerkungen zum europarechtlichen Schutz der “nationalen Identität” der EU-Mitgliedstaaten», Völkerrecht und deutsches Recht: Festschrift für Walter Rudolf zum 70. Geburtstag (2001), pag. 173; Köster/Schröder, «Eine bemerkenswerte Kompetenzüberschreitung — Frauen an die Waffe», Neue Juristische Wochenschrift, 2001, pag. 273; Stein, «Über Amazonen, Europa und das Grundgesetz», Die Macht des Geistes: Festschrift für Hartmut Schiedermair, (2001), pag. 737.


25: -     Cfr. sopra, paragrafo 20.


26: -     Questo non esclude però la sua utilizzazione nell'interpretazione del diritto secondario; cfr. in particolare il paragrafo 105 di queste conclusioni.


27: -     Sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne (Racc. pag. 455).


28: -     La modifica della direttiva 76/207 appena entrata in vigore si fonda pertanto sull'art. 141, n. 3, CE (v. nota 49).


29: -     Sentenze Sirdar (citata alla nota 11), punto 17; Kreil (citata alla nota 5), punto 18, e Schnorbus (citata alla nota 6), punto 28; sentenze 21 maggio 1985, causa 248/83, Commissione/Germania (Racc. pag. 1459, punto 16) e 2 ottobre 1997, causa C-1/95, Gerster (Racc. pag. I-5253, punto 18).


30: -     Per questa ragione ad esempio la Finlandia ha potuto dare la possibilità alle donne di prestare volontariamente il servizio militare (v. sopra, paragrafo 41).


31: -     Questa generale constatazione vale nonostante eventuali provvedimenti nazionali che compensano o devono compensare questi ritardi (ad esempio nell'ambito della previdenza sociale).


32: -     Ad esempio, sentenza 25 luglio 1991, causa C-345/89, Stoeckel (Racc. pag. I-4047), relativa ad un divieto di lavoro notturno solo per le donne.


33: -     Sentenze Sirdar (citata alla nota 11) e Kreil (citata alla nota 5). La causa Sirdar riguardava talune decisioni che impedivano l'accesso delle donne a determinati unità d'assalto della marina, la causa Kreil talune normative di legge che escludevano le donne in genere dal servizio armato nell'esercito.


34: -     Sentenza 30 giugno 1988, causa 318/86, Commissione/Francia (Racc. pag. 3559).


35: -     Citata alla nota 6.


36: -     Sarebbero inoltre da ricordare: la sentenza 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann (Racc. 3047), concernente il congedo per maternità che spettava solo alle donne. Poiché si trattava di un provvedimento che riguardava direttamente la regolamentazione delle «condizioni di lavoro» ai sensi dell'art. 5 della direttiva 76/207, questa era chiaramente applicabile. La regolamentazione nazionale ad oggetto del procedimento nella causa Marshall (citata alla nota 10) - a cui fa riferimento in particolare anche il sig. Dory - riguardava la cessazione automatica dei rapporti di lavoro al raggiungimento della soglia di età diversa in base al sesso per il diritto ad una pensione di anzianità. Anche in tale caso il provvedimento nazionale concerneva una disciplina delle «condizioni di lavoro» ai sensi dell'art. 5 della direttiva 76/207.


37: -     Sentenza 16 luglio 1992, cause riunite C-63/91 e C-64/91, Jackson e Cresswell (Racc. pag. I-4737).


38: -     Sentenza 13 luglio 1995, causa C-116/94, Meyers (Racc. pag. I-2131).


39: -     Sentenza citata nella nota 6.


40: -     Sentenza citata alla nota 37.


41: -     Sentenza citata alla nota 38.


42: -     Sentenza 3 dicembre 1987, causa 192/85, Newstead (Racc. pag. 4753).


43: -     «Per garantire la graduale attuazione del principio della parità di trattamento in materia di sicurezza sociale, il Consiglio adotterà, su proposta della Commissione, disposizioni che ne precisino in particolare il contenuto, la portata e le modalità di applicazione».


44: -     Citata alla nota 6.


45: -     Sentenza nella causa Schnorbus (citata alla nota 6), punto 28.


46: -     Sentenza nella causa Schnorbus (citata alla nota 6), punto 29.


47: -     V. argomenti al punto 40.


48: -     V. sopra, paragrafo 75.


49: -     La direttiva 76/207 era stata approvata ancora sul fondamento dell'art. 235 del Trattato CE. La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 269, pag. 15), appena entrata in vigore (5 ottobre 2002) è stata adottata sul fondamento dell'art. 141, n. 3, CE. Questo articolo appartiene al titolo XI, capo 1, CE «Disposizioni sociali».


50: -     V. sopra, paragrafo 98.


51: -     Per chiarire si ricordi ancora che non si deve con ciò affermare che l'obbligo di promozione dell'art. 3, n. 2, CE riguardi provvedimenti nazionali. Le considerazioni sopra esposte si riferiscono allo «scopo» dei provvedimenti nazionali solo in quanto esso sia il criterio decisivo per l'applicabilità del diritto secondario ai fini della parità tra i sessi.


52: -     V. sopra, paragrafo 63.